“Riccardino” di Andrea Camilleri
20 settembre 2020

L’ultima indagine di Montalbano…

Tra ‘na cosa e l’autra, si fici l’ura di mangiare. Allura siccome che non aviva tanto pititto addicidì di raggiungiri la trattoria di Enzo a pedi, spiranno che la ca­minata gliel’avrebbi fatto smorcare. Però pinsò di allongari il percorso e pigliari strate meno trafichiate, vuoi per evitari la gran camurria dei motorini, vuoi per respirari tanticchia d’aria meno ‘nquinata.
Quanno che trasì, la tilevisioni era addrumata e sintonizzata su «Televigàta». L’ammazzatina di Ric­cardino aviva fatto rumorata grossa e tutti evidentementi s’aspittavano di sapiri qualichi novità dall’indagini. Quelli che l’accanoscivano, isaro la testa a taliarlo e a salutarlo, spiannosi però come mai il commissario attrovava il tempo per annare a mangiare ‘nveci di stari a fari il doviri sò.
«Dottore, oggi il cuscusu comu Dio cumanna fici».
«Che aspetti a portarimillo?».
Sullo schermo, un giornalista parlava fora campo mentri che si vidivano le ‘mmagini di via Rosolino Pilo. La genti dai finestruna e dai terrazzini, appena che accapiva d’essiri ‘nquatrata, salutava con le mano o svintuliava fazzuletta.
‘Na festa!
Al posto del corpo di Riccardino, ora facivano vidiri ‘na sagoma addisignata ‘n terra col gessetto. A che minchia sirvivano ‘ste sagome doppo che erano state scattate centinara di fotografie da tutti i punti di vista, compresi quelli del catafero? Montalbano, in tutta la longa carrera sò, non era mai arrinisciuto ad accapirlo. (…)
E nello stisso momento Enzo gli misi davanti il piatto del cuscusu. (…)
Di tutte chiste parole, Montalbano nni sintì sulamenti qualichiduna, ma come sono, non come significato. Era arrinisciuto a concentrarisi talmenti sul sciauro e sul sapori del cuscusu che aviva annullato del tutto i rumori e le voci del munno di fora. Appresso al cuscusu, che Enzo aviva priparato con chiossà di ‘na decina di varietà di pisci, sarebbi, in teoria, umanamen ti ‘mpos­sibili mangiarisi autro pisci. Ma la passiata aviva fatto effetto e ‘nfatti il commissario si sbafò, come secunno, quattro triglie arrustute.
Quanno si susì, stimò che non era capace, con tutto quel carrico a bordo, di farisi la solita caminata fino a sutta al faro. L’unica era di strascinarisi al commissariato e abbannunarisi a corpo morto supra al divanetto dell’ufficio.
E naturalmenti, appena che si misi di traverso, s’ap­pinnicò.

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