“L’omicidio di Lord Arthur Savile” di Oscar Wilde
14 marzo 2013

Era davvero uno straordinario insieme di persone. Splendide nobildonne chiacchieravano affabilmente con violenti radicali, predicatori famosi sfioravano con le code di rondine eminenti filosofi scettici, un codazzo di vescovi inseguiva di sala in sala una formosa primadonna, sulle scale erano radunati membri dell’Accademia Reale travestiti da artisti e a un certo punto si disse che la sala da pranzo era letteramente zeppa di geni. Insomma, era una delle serate meglio riuscite di Lady Windermere (…)

Aveva cambiato marito più d’una volta; a dire il vero, Debrett le accreditava almeno tre matrimoni, ma poiché non aveva mai cambiato amante, il mondo aveva cessato da un pezzo di gridare allo scandalo. A quell’epoca aveva quarant’anni, era senza figli, e possedeva quella smodata sete di piacere che costituisce il segreto per rimanere giovane.

A un certo punto diede un’occhiata alla sala con aria inquieta, e chiese, con la sua chiara voce di contralto: “Dove si sarà cacciato il mio chiromante?” (…)
“Certo che è qui. Non mi sognerei mai di dare una festa senza di lui. Dice che ho una mano puramente psichica, e che se il mio pollice fosse stato solo un tantino più corto sarei diventata una pessimista acclarata e mi sarei rinchiusa in convento.”

“Sybil e io sappiamo ogni cosa l’uno dell’altro.”
“Oh, mi spiace che lei dica questo. L’elemento basilare di un matrimonio è l’incomprensione reciproca. No, non sono affatto cinica, ho una certa esperienza, ecco tutto, il che in fondo è la stessa cosa.”

“Dica quello che ha visto qui” disse “mi dica la verità. Devo saperla. Non sono un bambino.”
Gli occhi di Podgers ammiccarono dietro le lenti cerchiate d’oro e si dondolò con impaccio da un piede all’altro, mentre le sue dita giocherellavano nervosamente con la vistosa catena dell’orologio.
“Lord Arthur, che cosa le fa pensare che abbia letto nella sua mano più di quanto non le ho già detto?”
“Ne sono sicuro, e insisto perché mi dica cos’è. La pagherò. Le firmerò un assegno da cento sterline.”

Omicidio! Ecco ciò che il chiromante aveva letto nella sua mano. Omicidio!

Quale felicità avrebbero mai gustato insieme, quando egli poteva essere chiamato in ogni istante a compiere la profezia tremenda impressa sulla sua mano? Che vita sarebbe mai stata la loro, mentre il fato serbava sulla sua bilancia una tale sventura? Il matrimonio doveva essere rimandato, a ogni costo. Lord Arthur ne era convinto. Per quanto amasse ardentemente Sybil e il solo tocco delle sue dita, quando sedevano vicini l’uno all’altra, facesse vibrare di emozione ogni nervo del suo corpo, il giovane si rendeva perfettamente conto di quale fosse il suo preciso dovere ed era conscio di non avere alcun diritto di sposarla finchè non avesse commesso il delitto. Una volta che avesse ucciso avrebbe potuto recarsi all’altare con Sybil Merton e dedicarle la propria vita, senza il terrore di sbagliarsi. Avrebbe potuto prenderla tra le braccia sapendo che mai ella avrebbe avuto da arrossire per causa sua, mai avrebbe dovuto nascondersi il volto per la vergogna. Ma doveva consumare il suo delitto: il più presto possibile e per il bene di entrambi.

Si chiese con meraviglia come aveva potuto essere tanto sciocco da disperarsi e smaniare sull’inevitabile. Solo una questione lo preoccupava: chi avrebbe dovuto eliminare.

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