foto di Elena Fiorio - Burano maggio 2009
“Il grande libro delle frittate”
8 luglio 2018

di Morello Pecchioli e Monica Sommacampagna
Estratti dal capitolo: Elogio alla frittata.

E' la Cenerentola delle pietanze, la Cinderella dell'Italian Food. Ha tutto per piacere: è buona, bella, compiacente e sempre disponibile, soprattutto all'ultimo momento. Basta avere un paio d'uova a disposizione. "Caro, cosa cuciniamo per questa sera a cena? Non c'è niente in frigo, a parte due uova e una mezza salsiccia. Ce la facciamo una frittatina?" (...)
Il menu dei ristoranti, invece, da quelli stellati alle trattorie, la ignorano. I libri di ricette - non tutti, ma quasi - idem. La tradizionale, gustosa, umile, povera frittata all'italiana non riesce a oltrepassare le pareti della cucina di casa. Nè, tantomeno, arriva a valicare i confini della patria cucina. Ma se lo spazio le mette i paletti, se la geografia non le rende giustizia, il tempo al contrario, ne proclama le virtù gastronomiche, e la storia testimonia la sua antica bontà, le riconosce i gustosi meriti, grazie ai quali ha soddisfatto generazioni di palati, sfamato e nutrito sostanziosamente gente di ogni stirpe e di ogni altra etnia (un'infinità) che ha calcato il suolo del Buon Paese.

L'omelette è francese, transalpina. E' nata aristocratica, tra le Tuileries e la reggia di Versailles. Ha la puzzetta sotto il naso. La frittata nostra, invece, è popolare. L'effluvio della fortàgia con le cipolle si espande tra le calli di Venezia e, avvolta nella carta gialla del formaggio, va in gondola con Toni, Bepi e Alvise. L'odorino si scamorza affumicata della frittàt di maccheroni alla napoletana invade i quartieri spagnoli della città partenopea. L'aroma del grana con gli spinaci della fritada milanese si confonde con la nebbia sui Navigli. Il profumo del basilico della frità col pesto alla genovese s'infila negli stretti carrugi del capoluogo ligure. La fragranza della frittata romanesca alla burina si diffonde da Trastevere al ghetto romano fino a intrufolarsi, mescolata con l'odore dell'incenso, nei palazzi vaticani. E' una frittata contadina, ma degna di un papa. (...)
L'omelette soffre di qualche complesso freudiano. La frittata, invece, è solare, ha un carattere espansivo, socializza. E' popolana.
L'omelette viene cotta da un solo lato. La frittata su entrambi, rivelando, anche in questo, la sua italianissima origine. Non siamo, forse, noi italiani, maestri nel rivoltare la frittata?



Frittatona di cipolle e rutto libero...

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I cat café e la Sunshine Home
2 febbraio 2018

Estratto dal libro "Il re delle casa" di Abigail Tucker.

(...) considerata l'abilità con cui i gatti possono impossessarsi di un appezzamento di terreno, era solo questione di tempo prima che avvenisse l'usurpazione totale delle nostre case. E ci sono già dei luoghi (...) in cui questa confisca domestica è già un fatto compiuto.
Uno è il cat café, un nuovo tipo di locale che (in maniera virale e fortemente gattesca) si è diffuso nel mondo negli ultimi quindici anni o giù di lì. I primi cat café hanno aperto a Taiwan, sono diventati di gran moda in Giappone, poi in Europa, e stanno finalmente invadendo anche il Nordamerica, con i primi avamposti in California, mentre altri sorgono in varie città da una costa all'altra degli Stati Uniti. Lo stile può variare, ma è interessante notare che i cat café asiatici originali non assomigliavano a ristoranti o bar, e neppure a Shangri-la felini, ma piuttosto a normali salotti tradizionali. (...)
Solo che, naturalmente, le persone sono solo di passaggio: gli unici residenti legittimi sono i gatti, e gli umani fanno la fila per pagare una sosta temporanea. In certi locali i clienti sono tenuti a leggere un manuale di etichetta felina prima di entrare, e consultare le foto frontali dei gatti e i profili delle loro personalità. Solo allora sono ammessi a osservare fenomeni degni di meraviglia come le operazioni di spazzolamento dei gatti, o gli stessi mici mentre mangiano dalle loro ciotoline: pare che tali scene siano talmente rilassanti che spesso i clienti si addormentano sui divani dei gatti e i locali si riempiono delle sonorità di umani che russano. (Svegliare un gatto che dorme è rigorosamente contro l'etichetta, mentre è meno chiaro cosa fare con gli umani catatonici).
Gli esperti di cose feline potrebbero obiettare che questi cat café non sono precisamente l'ideale per i loro inquilini, vista la presenza di estranei maleodoranti che credono di poter arrivare quando gli pare e di accarezzare i gatti. Ma questi salotti artefatti illustrano bene come siamo stati indotti a deliziarci all'idea di concedere ai gatti le cose più strane, prostrandoci davanti a loro o girando loro attorno in punta di piedi, felici della nostra sottomissione. (...)
Il passo successivo è molto chiaro: ambienti simili a salotti in cui i gatti regnano e le persone sono bandite. Almeno un paradiso del genere esiste già. La Sunshine Home, nella campagna di Honeoye, stato di New York, è una struttura di lusso per gatti, pensione a lungo termine e "casa di riposo" per felini che ha aperto nel 2004 (...) e oggi riceve visite da persone dell'intero Paese, interessate al modello di impresa.
In realtà è piuttosto semplice: la vita, le finanze e il tempo stesso ruotano completamente attorno ai gatti.
Alcuni tra i gatti "pensionati" non sono in realtà così anziani, ma possono avere gravi problemi comportamentali, o richiedere «una routine terapeutica particolarmente rigorosa» (...) I proprietari di questi animali hanno deciso di ritirarsi dall'attività di cura per alcuni anni, o forse per sempre. Alcuni sono partiti per l'Antartide, a occuparsi di ricerca in qualche base polare, oppure hanno ottenuto un lavoro in appalto in Afghanistan. Altri sono semplicemente defunti.
«A tutt'oggi non sappiamo cosa sia successo ad alcuni di loro: sono come scomparsi dalla faccia della terra», dice il titolare, Paul Dewey, che molto cortesemente si riferisce ai proprietari precedenti come "ex genitori".
Alla tariffa davvero equa di quattrocentosessanta dollari al mese (o per una somma di denaro molto, molto superiore, se il proprietario è disposto a staccare un assegno in anticipo per terapie destinate a proseguire per tutta la vita del gatto) un felino residente alla Sunshine Home ha diritto a una sua stanza privata, con nulla da invidiare a molti monolocali di Manhattan, con soffitti alti oltre due metri e un'immensa finestra panoramica, oltre la quale sono visibili specie da preda di ogni genere e dimensione.
Dewey consiglia ai proprietari di allestire gli alloggi dei gatti con poltrone, futon e altri elementi d'arredo della vecchia casa. «Uno dei nostri primissimi clienti riuscì a replicare l'intero soggiorno di casa, compreso il portariviste, la lampada a stelo e la poltrona reclinabile», dice.
Solo che ora, chiaramente, i mobili sono solo per il gatto. Le ex mamme possono venire in visita, se lo desiderano, e alla tariffa extra di cinque dollari al mese possono usufruire di uno speciale numero gratuito per contattare i loro ex animali da compagnia quando vogliono, giorno e notte. Ma, a essere sinceri, mi confida Dewey, i gatti non è che attendano le telefonate con ansia.
«Alcune persone hanno difficoltà ad affrontare i cambiamenti», dice, «ma i gatti si adattano sempre».

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Polentoteca Chalet Gabriele
23 aprile 2017

Dopo anni e anni... desiderio esaudito...


La Polentoteca Chalet Gabriele si trova in Località Prà Filippo, a Piano Rancio, ai piedi del Monte San Primo. A 1012 metri sul livello del mare, si affaccia sul Lago di Como tra i due rami lariani (quello di Como e quello di Lecco) e offre una suggestiva vista sulle Alpi che abbracciano il lago.

Piatto forte del locale è ovviamente la polenta (con salmì di cervo, brasato e porcini trifolati ma anche polenta uncia e toc) ma sono molte le altre specialità presenti nel menu.

Costruito nel 1957 da Nuccia e Gabriele, il ristorante semplice e caratteristico è dotato di due sale da pranzo con ampie vetrate e terrazze.

Il toc è una polenta, di consistenza particolarmente cremosa, tipica della zona di Bellagio fatta con farina di mais, burro e formaggio. Si tratta di un'antica ricetta contadina, preparata per festeggiare occasioni speciali, che veniva servita agli invitati direttamente nel paiolo e posta al centro della stanza. Ogni commensale si serviva col proprio cucchiaio di legno e appoggiava il pezzo di polenta nell’incavo della mano prima di portarlo alla bocca, da qui il nome toc. E' una preparazione semplice ma che richiede la mano esperta di un "maestro del toc" nel rimestare e dosare correttamente il calore in cottura.

Tre i piatti felicemente sperimentati: Chalet (polenta, zola al forno, salsiccia ai ferri e porcini); Misto (polenta, salmì di cervo, brasato, porcini, cotechino e lenticchie); toc alla griglia con salami d'asino, di cavallo e di cervo. E per concludere... zabaione caldo!

www.polentoteca.com

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Kaspar il quattordicesimo commensale
17 gennaio 2017

Un racconto curioso da "111 gatti e le loro pazze storie" di Elke Pistor...


In molte culture il dodici è considerato un numero fortunato: dodici sono i mesi dell'anno, le ore di una giornata sono due volte dodici, dodici erano gli apostoli.
Diffusa è invece la credenza che essere tredici a tavola porti sfortuna e di qui la convinzione più generale che il tredici sia un numero iellato. Bisogna ammettere però che, almeno in un caso, la superstizione si è rivelata fondata.
Siamo a Londra, nel 1898. Il proprietario di miniere Woolf Joel, di origini sudafricane, invita a cena all'Hotel Savoy di Londra un gruppo di colleghi d'affari e amici. La rinuncia di uno di loro fa sì che i convitati si ritrovino in tredici a tavola. Inevitabilmente la conversazione va a cadere sulla sfortuna che colpirà il primo che si congederà dagli ospiti. Woolf Joel, che il mattino deve partire presto per far ritorno a casa, deride la superstizione e accetta la sfida di essere il primo a lasciare la tavola. Durante il viaggio per Johannesburg viene ucciso a colpi di fucile dal barone Kurt von Veltheim, un ricattatore: casualità o verità della profezia?
Quando al Savoy si viene a sapere dell'incidente nessuno ha dubbi: mai più tavoli con tredici commensali. Inizialmente si pensa di far partecipare alle cene un dipendente dell'albergo, ma la proposta non incontra il favore degli ospiti, per nulla bendisposti a condividere pasti e conversazioni con un estraneo.
Nasce allora l'idea di un invitato muto e negli anni Venti l'hotel incarica l'artista Basil Ionides di scolpire un gatto. Da allora Kaspar, questo è il nome del felino di legno, siede a tavola, con tanto di piatto e posate e provvede a tenere lontana la sfortuna dagli altri commensali.
Nel 2007 l'hotel è stato completamente ristrutturato e gran parte degli arredi degli anni ruggenti sono stati venduti all'asta, tranne naturalmente Kaspar, il quattordicesimo convitato, della cui compagnia al tavolo è possibile godere ancora oggi.

www.kaspars.co.uk

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Food Ink
4 agosto 2016

Un passetto avanti alla mia tigella 3D...


Da Londra arriva l'ultima tendenza in fatto di ristorazione. E' stato infatti inaugurato, nella capitale britannica, Food Ink il primo ristorante dove il cibo ma anche i bicchieri, i piatti, le posate e i tavoli sono realizzati con stampanti 3D.

Le portate servite sono il risultato di un mix fra ingredienti classici e prodotti della cucina molecolare. L’inedito menù è stato proposto per il momento solo per tre giorni e a poche decine di fortunati commensali.
La cena tecno-gourmet è stata definita "un’esperienza gourmet unica... dove la cucina incontra l’arte, la filosofia e le tecnologie del futuro".

Il progetto prevede l'apertura di nuovi ristoranti 3D in altre città del mondo come Berlino, Dubai, Seoul e New York. In Italia un locale itinerante potrebbe essere proposto a ottobre a Roma e poi a Torino.

Lo chef Fabio Tacchella, esperto di nuove tecnologie di cottura e lavorazione degli alimenti, commenta questa nuova tendenza: "La trovo un'iniziativa molto interessante. Avevo già sentito parlare di stampanti 3D per il settore food, ed è incredibile che siano riusciti ad aprire un intero ristorante incentrato su questo nuovo format. Ovviamente è una scelta più che giusta, perché la novità attrae sempre, bisognerà però aspettare per capire quale sarà la risposta del pubblico, anche a lungo termine. Ma come la nouvelle cuisine e dopo di questa la cucina molecolare, anche questa tecnica alle stampanti, invece che hai fornelli, può dare spunti positivi e interessanti al settore della ristorazione".



foodink.io

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La Sidreria
28 febbraio 2014

Bella serata a La Sidreria con tanto di inaspettato incontro mondogattoso e insolita grandinata invernale... In bocca al lupo a Lisa per la sua nuova avventura e grazie all'intera tavolata anche per la poesia in rima baciata...


La Sidreria, in zona Forlanini, è un locale allegro e informale con formula all you can eat (and drink!).
L'ampio menu fisso, che cambia mensilmente, propone piatti semplici ma originali e stuzzicanti dove la mela regna sovrana. Tre antipasti, due primi, un secondo e un piatto con tre assaggi di dolci, spillatura illimitata (ma senza sprechi) di cinque tipi di sidro da una grande botte a parete, acqua, caffè e liquorino da scegliere tra una sfiziosa selezione. Bis concessi a patto di esserne in grado!
Ideale per una divertente cena tra amici diversa dal solito.

Sulla strada che univa Milano a Brescia, all'altezza del terzo cippo miliare sorgeva, già in epoca romana, un piccolo negozio di alimenti, vini e stoffe che serviva i bisogni dei viandanti. Sono poi le cronache del 1346 a parlare di "un'osteria rivierasca presso il pons Opii sul Lambretto" detta dell’Oppio, nome derivante dall’Acero opalo o Loppo largamente diffuso nella zona. Durante la dominazione spagnola poi, trecento anni dopo, l'osteria diventava una tipica posteria pronta ad accogliere stranieri e passanti. Negli anni intorno al 1848, il generale austriaco Josef Radetsky frequentava abitualmente l'"Hosteria del Oppio" e se di giorno nel locale si ritrovano a bere e mangiare i suoi uomini la notte intorno agli stessi tavoli si davano convegno giovanotti armati di moschetto con la coccarda tricolore sul cappello che presero poi parte alle cinque giornate di Milano. E' passato molto più di un secolo da quegli anni e oggi "La Sidreria" rinnova la sua tradizione di locanda storica riproponendo una bevanda un tempo diffusa in tutto il nord Italia: il sidro.

Coeur de Neufchatel: formaggio francese di latte vaccino crudo a crosta fiorita e pasta morbida e cremosa è prodotto con la caratteristica forma di cuore. Ha ottenuto il marchio AOC nel 1969 e pare sia il formaggio più vecchio della Normandia dato che le sue origini risalgono al 1035. La leggenda racconta che durante la guerra dei Cento Anni, per la festa di fine anno, le giovani donne offrissero ai soldati inglesi questi formaggi a forma di cuore come segno d'amore.

Belper Knolle: formaggio svizzero di latte vaccino crudo modellato a mano a forma di piccola sfera e poi passato nel pepe nero macinato grosso, aglio e sale dell’Himalaya. Ha un sapore molto deciso e particolarmente aromatico. E’ l’invenzione di un casaro di Belp, cittadina a pochi chilometri da Berna, il nome letteralmente significa tartufo di Belp per il suo aspetto e perché quando è stagionato può essere tagliato a lamine sottili proprio come un tartufo.

Ho già voglia di provare il menu di marzo!

www.lasidreria.it

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Le vent du nord
12 giugno 2013

Mi piace tanto questo locale, per quello che si mangia e si beve… ma anche perchè è facile, lasciate fuori le luci della città, immaginare di essere in un piccolo porticciolo in Belgio o anche in Normandia o Bretagna…



Il nome della Brasserie “Le vent du nord” è tratto dai versi di una delle più famose canzoni di Jacques Brel, cantautore e compositore belga di lingua francese. Un vento che ha portato a Milano un angolo di Belgio con la sua cucina e le sue birre.

La cucina offre principalmente il piatto nazionale: mules frites cozze in numerose varianti servite nelle cocottes (tradizionali pentole con coperchio) accompagnate da speciali patatine cucinate con il metodo belga della doppia frittura e presentate in originali coni di carta sospesi. Altre proposte tipiche sono la carbonnade à la flamande stufato di manzo alla birra, salsicce in umido alla birra servite con stoemp crema di patate con verdure di stagione, insalata belga ripiena gratinata e formaggi d’abbazia.

I dolci fatti in casa spaziano da fragranti gaufres con cioccolata calda, panna montata o sorbetto di mela verde a torta di puro cioccolato senza farina e uova, torta di mele al Calvados e sorbetto alla birra di ciliegie (kriek).

Si beve ottima birra belga, nota in tutto il mondo per qualità e varietà (più di 400 tipi). Una trentina sono le proposte tra spina e bottiglia e il menu consiglia gli abbinamenti con i piatti. Molta cura viene dedicata alla spillatura delle birre in fusto (pils de brabant, gordon finest, gold dominus triple, blanche de brabant e una quinta proposta a rotazione) gli aromi protetti da una schiuma perfetta, la giusta temperatura e il bicchiere più adatto per ottenere vere e proprie creazioni del mastro birraio.

Gli arredi del locale ricordano quelli di un transatlantico di inizio Novecento, con travi di acciaio a vista, pavimenti con tavole di legno, pareti e soffitti verniciati color panna e foto d’epoca alle pareti.

Nell’attesa dell'ordinazione ci si può cimentare nell’antica arte dei nodi. I tovaglioli stretti da una piccola corda contengono infatti un foglietto che illustra la realizzazione di un particolare nodo e il suo utilizzo marinaro.

www.leventdunord.it

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Compleanno (2)
29 aprile 2013

Niente ufficio, pacchetti da scartare, gita fuori porta e ristorante...



www.dafont.com/tarantella

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La dolce vite
4 dicembre 2012

Ospiti a La dolce vite… conoscere il cuoco garantisce quei vizi in più che non guastano mai…



La locanda La dolce vite di Ornago è un piccolo e accogliente ristorante rustico di provincia che nel cuore della Brianza propone robusta cucina lombarda.
Garantite qualità e cortesia e la sorpresa di un prezzo decisamente onesto.

Assolutamente da provare la polenta di storo con taleggio e crema di tartufi neri.

Cassoeula da asporto come gentile omaggio! Io passo... ma qualcuno sarà felice...

www.ladolcevite.info

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Moltalbano e il cibo
26 febbraio 2012

Post(ino) numero cento... chi l'avrebbe mai detto...

Estratti da “La caccia al tesoro” di Andrea Camilleri.

Annò in cucina, raprì il frigorifero e gli cadero le vrazza.
Tanticchia di caciocavallo, quattro passuluna, cinco sarde sottoglio e 'na troffa d'acci, chiuttosto scarso il contenuto. Però meno mali che Adelina il pani frisco glielo aviva accattato.
Raprì il forno. E fici un ululato lupigno di filicità.
'Na porzione bastevole per quattro di milinciane alla parmigiana, fatte con tutti i sacramenti!
Addrumò il forno per quadiarle, annò nella verandina, conzò la tavola, sciglienno 'na buttiglia di vino speciali.
Aspittò che la parmigiana quadiasse bona, e po' se la portò a tavola nella teglia stissa, senza travasarla in un piatto.
Quando finì, un'ora e mezza doppo, alla teglia non ci sarebbi stato nisciun bisogno di lavarla. L'aviva accuraramenti puliziata col pani, il suco era 'na maraviglia.

Alla trattoria di Enzo, pur avenno fatto il proposito di mantinirsi dintra limiti ragionevoli di mangiata, sbracò davanti a un piatto di involtini di pisci spata e sinni fici portari un’altra porzioni, pur avennosi agliuttuto in precedenza ‘na bella varietà d’antipasti di mari e un gran piatto di spachetti alle vongole.
La passiata al molo fino a sutta al faro fu perciò cchiù che necessaria e magari l’assittatina supra allo scoglio chiatto con relativa sicaretta.

Doppo essirsi stipato con pasta al nìvuro di siccia e ‘na mezza chilata di gammaroni, si fici la solita passiata fino al faro, s’assittò supra allo scoglio chiatto e passò ‘na mezzorata bona a scassare i cabasisi a un granchio.
Po’ sinni tornò in ufficio (…)

Forsi Adelina aviva fatto la bella pinsata di celebrari in forma sullenne il so ritorno in servizio.
Fatto sta che raprenno prima di tutto il frigorifero, s’attrovò davanti a ‘na decina d’involtini di pisci spata fatti come piacivano a lui e dù grossi finocchi tagliati e puliziati, quelli che ci volivano per rinfriscari la vucca. E c’era macari ‘na buttiglia di vino in friddo. Nella parti interna dello sportello ci stava ‘mpiccicato un foglio di carta con supra scritto: taliare macari nel forno. E lui taliò.
Dintra al forno risplendeva ‘na teglia di pasta ‘ncasciata!
Manco con l’uso della forza o della seduzioni si sarebbi fatto persuaderi da Ingrid ad annari a mangiare in qualchi ristorante.

“Che mi porti?”.
“Tutto quello che voli”.
“E io tutto voglio”.
“Oggi havi pititto?”.
“Non tanto. Però spilluzzicanno canticchia di tutto, alla fini avrò mangiato a malgrado che non avivo pititto”.
Finì che s’abbuffò suo malgrado. E sinni vrigugnò, per la prima volta nella sò vita.
Po’, mentri s’addirigeva verso il molo, si spiò pirchì si era vrigugnato d’aviri mangiato a tinchitè.

S’arricampò a Marinella che erano squasi le tri del matino. Aviva un pititto che si sarebbi mangiato vivo un liofanti. Dintra al forno, ‘na gran teglia di pasta ‘ncasciata. E otto arancini, ognuno cchiù grosso di ‘n arancio. Mentri sinni annava in bagno a farsi ‘na doccia, si misi a cantare ad alta voci. Stunato come ‘na campana. E quanno finì di mangiare, divitti squasi strascinarisi fino al tilefono per chiamari a Livia (…)

www.youtube.com

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