Ricetta: pandoro tiramisù31 dicembre 2012
Dolcetto ipocalorico per il cenone e... auguri!
Pandoro tiramisù
1 pandoro da 1 kg.
500 gr. di mascarpone
3 cucchiaini di caffè solubile
3 cucchiai di zucchero
2 uova
cacao amaro
Lavorare i tuorli con lo zucchero e il caffè solubile, quando sono spumosi incorporare il mascarpone. Montare a neve gli albumi con le fuste elettriche.
Unire delicatamente, mescolando dall'alto verso il basso, parte degli albumi al composto di mascarpone sino a ottenere una crema fluida ma non troppo liquida.
Tagliare orizzontalmente il pandoro in cinque parti. Dividere orizzontalmente a metà ognuno dei cinque piani e farcirli con la crema al mascarpone.
Ricomporre il pandoro facendo combaciare le fette con in mezzo la crema e sfalsando i cinque piani tagliati inizialmente (senza crema tra loro).
Decorare il pandoro assemblato a stella con il cacao setacciato, avendo cura di coprire bene le punte.
Se il pandoro non è particolarmente slanciato dividerlo solamente in quattro piani.
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Tags: albumi, cacao amaro, caffè solubile, crema, fruste elettriche, mascarpone, pandoro, piani, ricetta, setaccio, stella, tuorli, uova, zucchero
Yogi Tea Christmas Collection28 dicembre 2012
Il podio della mia personalissima classifica: Jamaica, Choco, Classic.
Yogi Tea Christmas Collection è una confezione speciale natalizia di ventiquattro bustine di dodici diverse tisane di erbe con estratti di frutta, spezie e tè nero da agricoltura biologica.
Classic: cannella, cardamomo, zenzero, chiodi di garofano, pepe nero, estratto di cannella.
Rooibos: rooibos, cannella, zenzero, carruba, cicoria tostata, cardamomo, chiodi di garofano, estratto di cannella, pepe nero, olio di zenzero, olio di cardamomo, estratto di vaniglia.
Sweet chili: liquirizia, scorza di cacao, menta crispa, finocchio, anice, zenzero, menta piperita, ortica, cannella, peperoncino, cardamomo, chiodi di garofano, pepe nero.
Choco: scorza di cacao, liquirizia, cannella, carruba, malto d'orzo, cardamomo, zenzero, chiodi di garofano, estratto di cannella, estratto di vaniglia, pepe nero, olio di zenzero, baccello di vaniglia.
Licorice: liquirizia, cannella, zenzero, scorza d'arancia, cardamomo, pepe nero, cicoria tostata, malto d'orzo, chiodi di garofano, estratto d'arancia, estratto di vaniglia.
Jamaica: cicoria tostata, cannella, malto d'orzo, carruba, cardamomo, pepe nero, liquirizia, cardo selvatico.
Bright mood (Felicità): cannella, zenzero, finocchio, anice, liquirizia, cardamomo, luppolo, scorza d'arancia, basilico, estratto d'arancia, pepe nero, lavanda, fieno greco, fiori di millefoglie, chiodi di garofano, estratto di cannella.
Heartwarming (Gioia di vivere): basilico, liquirizia, succo di limone essiccato, scorza d'arancia, cannella, zenzero, peperoncino, cardamomo, chiodi di garofano, pepe nero.
Ginger hibiscus: ibisco, liquirizia, zenzero menta piperita, menta crispa, curcuma, barbabietola, olio di zenzero, cannella, cardamomo, chiodi di garofano, pepe nero.
Ginger lemon: zenzero, liquirizia, erba limonina, pepe nero, estratto di agrumi, scorza di limone, menta piperita, ibisco, succo di limone essiccato.
Bedtime (Buonanotte): finocchio, camomilla, menta piperita, cardamomo, melissa, erba limonina, radice di valeriana, salvia officinale, lavanda, noce moscata.
Black chai: tè nero, zenzero, cannella, anice, rooibos, cicoria tostata, pepe nero, chiodi di garofano, estratto di cannella, olio di zenzero.
Una perfetta tazza di Natale che scalda il cuore con le sue note di spezie esotiche.
La filosofia Yogi Tea affonda le proprie radici nell’Ayurveda, in cui il piacere dei sensi si unisce a un approccio equilibrato al benessere complessivo dell’individuo.
www.yogitea.eu
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Categorie: bere
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Anello DuePunti26 dicembre 2012
Bellissimo il mio DuePunti jelly white...
DuePunti unconventional diamond.
Il gioiello mai esistito prima. Una coloratissima gamma di anelli nati dall’incontro di un materiale innovativo come il silicone con il prezioso diamante (0.02 carati). Gioielli non convenzionali destinati a chi ama osare e stupire in ogni occasione senza dimenticare l’eleganza.
In venticinque colori (19 + 6 jelly):
Sabbia fine
Giallo irriverente
Arancio jazz
Rosso piccante
Rosa capricco
Rosso infedele
Bordeaux raffinato
Lilla curioso
Viola romantico
Fuxia intrigante
Blu profondo
Blu mistico
Verde pacifico
Verde bugiardo
Grigio distinto
Castano pungente
Marrone selvatico
Nero assoluto
Bianco perfetto
Jelly fuxia
Jelly green
Jelly blue
Jelly bordeaux
Jelly white
Jelly yellow
www.duepuntimilano.com
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Categorie: gioielli
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“Un Natale in giallo”25 dicembre 2012
di Costa, Flamigni, Giménez-Bartlett, Malvaldi, Pastor, Piazzese, Recami
“Un Natale di Petra” di Alicia Giménez-Bartlett
Mentre tornavo a casa e pensavo a cosa non avrei fatto per amore, di cose me ne vennero in mente parecchie. Non avrei ammazzato nessuno, per esempio. Non mi sarei lasciata umiliare come il povero Sergio, per esempio. E nemmeno manipolare come Sandra. No, l’amore non significa tutto, certo che no. Speravo di non sentirmi in colpa per quelle puntualizzazioni quando mi sarei distesa accanto a Marcos.
Era profondamente addormentato quando arrivai. In tutta la casa aleggiava ancora un soave aroma di tacchino tartufato. Mi infilai nel letto facendo pianissimo ma mio marito mi parlò nel dormiveglia.
“Petra, sei qui? E’ andato tutto bene?”
“Tutto bene Marcos, dormi”.
Lo bacia sulla fronte e mi voltai su un fianco. Lui parlò di nuovo.
“Petra”.
“Dimmi”.
“Buon Natale”.
“Buon Natale, Marcos”.
Ero così stanca che la frase che avevo appena pronunciato mi parve addirittura avere un senso.
“Come fu che cambiai marca di whisky” di Santo Piazzese
Forse l’idea di un po’ di focolare domestico l’allettava quanto una volta avrebbe messo in fuga il sottoscritto. Ne parlo al passato perché per me da qualche tempo non è più così. In epoche non troppo remote, l’idea di una vigilia di Natale in famiglia, tutti insieme appassionatamente, come minimo mi avrebbe scatenato una variante mortale di acne e mi avrebbe fatto allisciare di colpo tutti i capelli. Il Natale mi incattiviva di brutto.
Ora, invece, pensavo all’evento quasi con una sensazione di piacevole aspettativa. Ci doveva del vero nella faccenda del calo ormonale.
“A Natale con chi vuoi” di Carlo Flamigni
E poi arriva l’ora del cenone, a tavola c’erano tutte le persone che con la famiglia avevano o avevano avuto comunione di vita, persino i baliotti, quelli che la nonna aveva allattato assieme ai suoi figli e che erano rimasti più attaccati a lei che ai genitori genetici.
Il cenone di Natale, comunque, Primo se lo ricordava sempre uguale, straripante, ipercalorico.
Prosciutto, musotto, coppa e salsiccia matta per cominciare; due minestre, asciutta la prima e in brodo la seconda, rigorosamente cappelletti; bollito, a dir misto lo si penalizza, cappone, testina di vitello, cervello, cotechino, manzo; poi polli arrosto e salsicce ai ferri, con una varietà di patate, in umido, arrosto, fritte, al forno, e verdure a piacere, dai pomodori alla lattuga; piadina, dall’inizio alla fine; ciambella, zuppa inglese alta una esagerazione e un po’, crema, savoiardi con l’alchermes, cioccolata, savoiardi con l’alchermes, crema… Vino, naturalmente, Trebbiano, Sangiovese, e Albana dolce. Grappa. E alla fine qualcuno recitava poesie di Stecchetti e qualcuno, semplicemente, finiva sotto il tavolo semisvenuto.
“La mossa del geco” di Gian Mauro Costa
“Minchia che camurrìa”.
La filosofia di Enzo Baiamonte sul Santo Natale si riassumeva in quest’unica, fulminante, riflessione. E non si poteva dire che ci fosse arrivato con la maturità dei cinquanta. Perché, anche all’età dell’incantamento infantile, i suoi pensieri erano, minchia in meno e camurrìa in più, gli stessi. Una camurrìa doppia perché, in primis, sua mamma si ostinava, ogni Immacolata, a tirar fuori dal ripostiglio lo scatolone del presepe pieno di muschio rinsecchito, casette di cartapesta e tutti i personaggi annesi e connessi, e lo costringeva a passare un pomeriggio intero a realizzare con lei “il paese di Gesù bambino” sul ripiano della credenza.
La seconda camurrìa consisteva nel pranzo del 25 a casa dello zio Ciccio, ogni anno con lo stesso micidiale copione: pasta al forno, castrato con patate a spezzatino, finocchio (“che sgrascia la bocca”) e cassata. Poi, un giro di tombola. E, manco a dirlo, mai che Enzo vincesse un ambo. Per non parlare dei “regalini”: riusciva a rimediare ora un paio di calzettoni, ora un berretto con la visiera, al massimo un paio di guanti o, per cambiare genere, una scatola di biscotti. La giustificazione ufficiale era che i doni per i bambini, a Palermo li portavano i morti, il 2 novembre. E portavano, giusto in tema, pistole, fucili, e tutt’al più bambolotti alle bambine. Ma siccome alla madre di Enzo questa storia degli estinti faceva un po’ d’impressione, lui andava in bianco sia sul fronte dei morti che su quello dei vivi.
Non ci fosse stata Adelina, l’unica parente rimasta e fornita di marito e figli, non solo il Natale non lo avrebbe più festeggiato ma lo avrebbe cancellato dal calendario insieme a Santo Stefano e a un gruppetto di altri martiri della fede.
“L’esperienza fa la differenza” di Marco Malvaldi
Non tutto il male vien per nuocere, questo si sa; quell’anno, però, questo proverbio aveva assunto una notazione particolare quando Ampelio aveva detto a Massimo, il ventitré mattina, che nonna Tilde aveva l’influenza. (…)
E così, per la prima volta da vent’anni, niente cenone in casa di nonna Tilde. Il che significava niente crostini col sugo di fegatini millenari, niente pesce finto (terribilissimo laterizio semicommestibile a base di tonno e patate, di nessun gusto e di ancor meno digeribilità) e nessuna delle mille declinazioni di fritto che caratterizzavano il cenone natalizio da sempre. Al loro posto la cucina di Tavolone: polpo grigliato con purè di patate e finocchi, risotto al prosecco con zucchine e fiori di zucchina fritti, grigliata di gamberi imperiali con fagioli del purgatorio, e per finire il pandoro fatto in casa da Tavolone medesimo, tagliato, scaldato trenta secondi in forno e servito con una coppetta di gelato a parte.
E poi la tombola, certo, subito prima dei regali; chi vinceva la tombola infatti non vinceva nulla, solo il diritto ad essere quello che distribuiva i regali, messi sotto l’albero già dal pomeriggio.
Massimo adorava, per motivi non chiari, quell’assurdo rituale, che non aveva niente di sensato; a partire dal fatto che il delegato a estrarre i numeri era da tempo immemorabile lo zio Italo, il quale non ci vedeva un’ostia nonostante lenti spesse come un tramezzino, e che un Natale aveva chiamato tre volte il cinquantasei.
E, ancora con l’animo del bambino, Massimo adorava i regali; sia farli che riceverli. Gli piaceva, specialmente, trovare il regalo giusto per la persona impossibile, come la volta che aveva regalato ad Ampelio un piccolo cuscino pieno di noccioli di ciliegia, da mettere nel microonde, che poi rilasciava calore per un’ora o due. Suo nonno lo aveva guardato, aveva bofonchiato un ringraziamento a mezza bocca e lo aveva messo lì, salvo poi andarci a dormire tutte le notti da settembre a maggio, e sbraitare se la Tilde tentava di usarlo lei, qualche volta.
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Buon appetito24 dicembre 2012
Iniziano le feste... auguri e buon appetito!
Scrive Massimo Montanari, docente di Storia medievale e di Storia dell'alimentazione dell'Università di Bologna, nella rubrica
Cibo è cultura del numero di dicembre di CON (il mensile dei soci COOP):
Il bello di dirsi "Buon appetito!"
Lo dicevamo sempre, all'inizio dei pasti: Buon appetito!
La maggior parte di noi continua a dirlo, anche se ogni tanto capita di incontrare qualcuno che ammonisce: "non si usa più".
Non arrivo a capire il perchè di questa censura. Forse che augurare buon appetito è ritenuto volgare? Forse si ritiene inopportuno in una società di obesi e sovrappeso, ai quali meglio si adatterebbe la raccomandazione di moderare e trattenere l'appetito? Forse è un riemergere di antiche fobie, di quella diffidenza per i piaceri del corpo che una certa cultura ha propagandato per secoli?
Ma, in primo luogo, buon appetito non significa "mangiare molto". Significa semmai "mangiare bene". Significa (...) un appetito buono, un rapporto cordiale con il corpo e un amorevole attenzione ai segnali che esso ci manda. Significa una gestione equilibrata di questi segnali, il riconoscimento di quanto ci serve e ci compete, per godere sobriamente dei piaceri del cibo anche in funzione della salute. (...)
Appetito viene dal latino "ad-petere" e significa desiderio, l'essere attratti da qualcosa. Non è la fame, pulsione istintiva che serve a sopravvivere, a riempire lo stomaco (...) E' qualcosa di meno e più importante. Meno, perchè l'appetito non ci obbliga a mangiare, ma garbatamente ci invita. Più, perchè introduce l'elemento del piacere e della discrezione (nel senso letterare di "scegliere") rielaborando in senso culturare l'istinto della fame. Certo, ciò può accadere solo quando la fame non urla troppo. Perciò l'appetito è un lusso, che non tutti, e non sempre, si possono permettere. Augurare buon appetito è un gesto gentile, affettuoso. Non perdiamolo.
www.consumatori.e-coop.it
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Ricetta: pollo in mole poblano22 dicembre 2012
Il pollo (o tacchino) in mole poblano è una specialità della cucina messicana. E' un piatto particolarmente elaborato, aromatico e piccante che ha tra i suoi ingredienti profumatissimo cacao, frutta secca, spezie e peperoncino.
La salsa mole poblano deve il suo nome alla città di Puebla, una leggenda racconta che sia stata preparata per la prima volta dalle suore del convento di Santa Rosa, in occasione di una visita vescovile, mescolando tutti gli ingredienti disponibili in dispensa.
Ci sono tantissime differenti ricette per la preparazione di questa salsa, David Lebovitz scrive nel suo libro Sweet life in Paris: “Mi rivolgo a tutti quelli che se-non-ci-metti-dieci-ore-non-è-vero-mole, non sprecate il vostro fiato a criticare dato che a Parigi non si trovano alcuni degli ingredienti. Farò il meglio che posso con ciò che ho a disposizione. La ricetta avrà circa sessantasette ingredienti in meno dell’originale e ci vorrà una frazione del tempo previsto per prepararla. E il risultato sarà altrettanto buono dell’originale. Quindi, se siete la polizia della salsa mole, mettete pure via le vostre manette.”
Ecco una ricetta decisamente semplificata ma efficace:
Pollo in mole poblano
2 petti di pollo
3/4 peperoncini ancho secchi
3/4 peperoncini pasilla secchi
200 gr. di pezzettoni di pomodoro
1 cipolla grossa
2 spicchi d'aglio
3 cucchiai di cacao amaro
4 cucchiai di uvetta
40 gr. di sesamo
100 gr. di arachidi e/o mandorle
6 chiodi di garofano
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
mezzo cucchiaino di coriandolo in polvere
mezzo cucchiaino di cumino in polvere
1 cucchiaino di zucchero di canna
brodo di pollo
pangrattato (o farina di mais)
olio extravergine d'oliva delicato (o di arachidi)
sale e pepe
Pulire i peperoncini ancho e pasilla, eliminando i semi, quindi metterli in ammollo in poca acqua calda insieme all'uvetta per una ventina di minuti circa.
Tostare separatamente in una padella antiaderente, senza condimento, i semi di sesamo, le archidi e le mandorle.
Rosolare nell'olio la cipolla tritata grossolanamente insieme ai chiodi di garofano (che verranno tolti prima di aggiungere gli altri ingredienti) poi unire gli spicchi d'aglio, i peperoncini e l'uvetta ben stizzati, buona parte dei semi di sesamo, le arachidi e le mandorle. Spolverare il tutto con la cannella, il coriandolo e il cumino. Fare insaporire per qualche minuto quindi aggiungere i pezzettoni di pomodoro, il cacao amaro, lo zucchero di canna, il sale e il pepe.
Fare cuocere brevemente poi unire un bicchiere di brodo e frullare il tutto con un frullatore a immersione direttamente nella pentola, continuare la cottura a fuoco lento per circa trenta minuti.
Pulire e tagliare i petto di pollo (ogni petto in otto pezzi) poi dorarli in una padella con poco olio, sale e pepe e portarli a metà cottura, trasferirli quindi nella pentola con la salsa mole e completare la cottura.
La carne deve risultare tenera e la salsa densa e cremosa. Aggiungere altro brodo se la salsa tende a asciugare troppo o un po' di pangrattato (o farina di mais) se fatica ad addensarsi.
Assaggiare e regolare anche all'ultimo di sale, spezie o peperoncino.
Servire il pollo in salsa mole poblano spolverizzato con i semi di sesamo avanzati insieme a riso bollito o quinoa.
I peperoncini ancho e pasilla possono essere sostituiti con un peperone fresco, tre o quattro pomodori secchi e un cucchiaino di peperoncino in polvere. In questo caso il pepeperone, pulito e tagliato a pezzettoni, va soffritto con la cipolla; i pomodori secchi ammollati insieme all'uvetta e uniti alla salsa nello stesso momento; il peperoncino aggiunto insieme alle spezie.
Il cacao amaro può essere sostituito con cinquanta grammi di cioccolato fondente al 70% eliminando lo zucchero di canna.
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Fine del mondo21 dicembre 2012
Questa sera cena maya… e che fine del mondo sia!
Il 21 dicembre 2012, come sintetizza mirabilmente Wikipedia, è la data del calendario gregoriano nella quale secondo alcune credenze e profezie, prive di qualsiasi rilievo scientifico, si dovrebbe verificare un evento, di natura imprecisata e di proporzioni planetarie, capace di produrre una significativa discontinuità storica con il passato.
L'evento, senza entrare nel dettaglio del calcolo ciclico del tempo
(ciclo Tzolkin -calendario religioso-,
ciclo Haab -calendario civile-,
lungo computo), è collegato alla fine di uno dei cicli del calendario maya.
Per gli inguaribili ottimisti si tratterà di una radicale trasformazione dell'umanità in senso spirituale mentre i pessimisti parlano molto più semplicemente di fine del mondo.
Chi ricorda che nell'ultimo episodio di X-Files veniva rivelato che il 22 dicembre 2012, ossia il giorno successivo all'inizio di una nuova
era cosmica, era la data programmata dagli alieni per invadere la Terra?
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La tentazione abita in albergo13 dicembre 2012
Chi non ha mai rubato un oggetto con il marchio dell'hotel?
Scrive Vittorio Zucconi in Hotel America (D la Repubblica):
E' arrivato il momento di confessare. Sono un ladro. In una vita di viaggi e di stanze di albergo, ho riempito valigie di saponette, flaconcini di creme e lozioni che si sono poi malinconicamente pietrificate in fondo ai cassetti, salviette con le insegne della catena alberghiera ricamate sopra. E soprattutto il più grave dei miei bottini: gli accappatoi. Nel momento di cleptomania più acuta, rischiai non l'arresto, ma il divorzio, quando mia moglie, alla vista dell'ennesimo accappatoio di morbida spugna insaccato a fatica in una valigia, minacciò di andarsene da casa se ne avessi portato un altro dai miei viaggi. Il mio "colpo" più sensazionale avvenne a Modena, in un modestissimo alberghetto (...) che si prendeva una piccola rivincita sui ladri stampando sui piatti la scritta "Rubato all'albergo della Libertà". Almeno il marchio della vergogna sarebbe rimasto con il "topo" ogni volta che avesse usato quel piatto.
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La dolce vite4 dicembre 2012
Ospiti a La dolce vite… conoscere il cuoco garantisce quei vizi in più che non guastano mai…
La locanda
La dolce vite di Ornago è un piccolo e accogliente ristorante rustico di provincia che nel cuore della Brianza propone robusta cucina lombarda.
Garantite qualità e cortesia e la sorpresa di un prezzo decisamente onesto.
Assolutamente da provare la polenta di storo con taleggio e crema di tartufi neri.
Cassoeula da asporto come gentile omaggio! Io passo... ma qualcuno sarà felice...
www.ladolcevite.info
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