foto di Elena Fiorio - Burano maggio 2009
La pizza e la forchetta
25 marzo 2014

Scrive Massimo Montanari, docente di Storia medievale e di Storia dell’alimentazione dell’Università di Bologna, nella rubrica Cibo è cultura del numero di marzo di CON (il mensile dei soci COOP):

La pizza e la forchetta di Bill De Blasio.

Si è (...) letto sui giornali che il nuovo sindaco di New York, Bill De Blasio, è stato sorpreso da un fotografo a mangiare la pizza con la forchetta. Gesto che a noi italiani (come all’italo-americano Bill) appare ovvio, ma agli americani no.
Al punto da suscitare un vero e proprio scandalo. La rivista "The New York" ha parlato di "un disastro". Il "Daily News" ha accusato il sindaco di snobismo. Un blog locale ha aperto un forum tra i lettori per discutere quello che è stato definito "il primo passo falso" del sindaco. Il gestore della pizzeria "Goodfellas", in cui è stato commesso il misfatto, ha ritenuto di dover giustificare la gaffe dell’illustre ospite impegnandosi, la prossima volta, a insegnargli le buone maniere, ossia che la pizza si mangia con le mani, come tutti i "veri" americani sanno. È rimasta celebre la foto di un altro Bill, il presidente Clinton, che "correttamente" trangugia un trancio di pizza ripiegato, tenendolo ben stretto nelle sue grandi mani. Lo stesso De Blasio si è scusato, adducendo a motivo del suo comportamento il fatto che in Italia – dove torna spesso – mangiare la pizza con forchetta e coltello è abbastanza normale, tanto più se è ricolma di sughi e condimenti, come in America solitamente accade.
La vicenda si potrebbe confinare nel ridicolo, se non avesse un profondo significato culturale. Il fatto è il 65% degli americani è convinto che la pizza sia un’invenzione americana e che, pertanto, mangiarla in modo diverso dalla "norma" sia una sorta di tradimento dell’identità nazionale. Da questo punto di vista, la polemica contro De Blasio si colora di tinte quasi xenofobe, o quanto meno si inserisce in una contrapposizione di vecchia data fra i modi "effeminati" della vecchia Europa e lo spirito schietto e robusto dei pionieri del Nuovo Mondo. Il mito della bistecca, del barbecue, di una cucina maschia e "naturale" fa parte integrante di questa immagine. Mangiare con le mani, senza orpelli inutili, diventa il simbolo di una cultura semplice, incorrotta, originaria. Che la pizza sia spesso surgelata e prodotta dalle catene di fast food diventa, in tale contesto, una nota marginale di scarso interesse simbolico. (...)

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Pane e pomodoro
9 aprile 2013

Scrive Massimo Montanari, docente di Storia medievale e di Storia dell’alimentazione dell’Università di Bologna, nella rubrica Cibo è cultura del numero di aprile di CON (il mensile dei soci COOP):

Pane e pomodoro. Se il gusto diventa memoria.

Una fetta di pane abbrustolito. Un piccolo pomodoro fresco. Tagliato in due, il pomodoro si sfrega sul pane e gli dà un colorino rosso pallido. Volendo, si può aggiungere una sfregatina di aglio. Volendo, una spruzzata d'olio. Ma i due elementi base restano il pane e il pomodoro. Due prodotti semplici, addirittura banali. Tuttavia capaci, messi insieme, di costruire un cibo dal forte valore identitario.
Chi va a Barcellona, o in qualsiasi altra città o cittadina catalana, sa che il "pa amb tomate" (pane con pomodoro) è un oggetto-culto che dà inizio a qualsiasi pasto, che accompagna qualsiasi pasto. Quasi un feticcio gastronomico. La Catalogna non è certo l'unico posto al mondo in cui l'abbinamento funziona: le nostre bruschette non sono poi molto diverse, e molti amici del sud Italia contesterebbero violentemente la sicurezza con cui qualsiasi catalano pretende l'esclusiva di questo pane con pomodoro. Ma la questione non è sapere chi ha inventato la vivanda, chi per primo ha pensato che sfregare un pomodoro su una fetta di pane tostato potesse soddisfare il gusto in modo così piacevole, così appagante da spingere alla ripetizione del gesto, da farlo diventare un'abitudine, un desiderio ricorrente. Quando il gusto diventa memoria, una tradizione è nata. (...)

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Buon appetito
24 dicembre 2012

Iniziano le feste... auguri e buon appetito!

Scrive Massimo Montanari, docente di Storia medievale e di Storia dell'alimentazione dell'Università di Bologna, nella rubrica Cibo è cultura del numero di dicembre di CON (il mensile dei soci COOP):

Il bello di dirsi "Buon appetito!"

Lo dicevamo sempre, all'inizio dei pasti: Buon appetito!
La maggior parte di noi continua a dirlo, anche se ogni tanto capita di incontrare qualcuno che ammonisce: "non si usa più".
Non arrivo a capire il perchè di questa censura. Forse che augurare buon appetito è ritenuto volgare? Forse si ritiene inopportuno in una società di obesi e sovrappeso, ai quali meglio si adatterebbe la raccomandazione di moderare e trattenere l'appetito? Forse è un riemergere di antiche fobie, di quella diffidenza per i piaceri del corpo che una certa cultura ha propagandato per secoli?
Ma, in primo luogo, buon appetito non significa "mangiare molto". Significa semmai "mangiare bene". Significa (...) un appetito buono, un rapporto cordiale con il corpo e un amorevole attenzione ai segnali che esso ci manda. Significa una gestione equilibrata di questi segnali, il riconoscimento di quanto ci serve e ci compete, per godere sobriamente dei piaceri del cibo anche in funzione della salute. (...)
Appetito viene dal latino "ad-petere" e significa desiderio, l'essere attratti da qualcosa. Non è la fame, pulsione istintiva che serve a sopravvivere, a riempire lo stomaco (...) E' qualcosa di meno e più importante. Meno, perchè l'appetito non ci obbliga a mangiare, ma garbatamente ci invita. Più, perchè introduce l'elemento del piacere e della discrezione (nel senso letterare di "scegliere") rielaborando in senso culturare l'istinto della fame. Certo, ciò può accadere solo quando la fame non urla troppo. Perciò l'appetito è un lusso, che non tutti, e non sempre, si possono permettere. Augurare buon appetito è un gesto gentile, affettuoso. Non perdiamolo.

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