foto di Elena Fiorio - Burano maggio 2009
No name
29 aprile 2019

Un compleanno FICO, bagnato dalla pioggia ma anche da un ottimo NO NAME bianco...


NO NAME Friulano
Le Vigne di Zamò
DEDICATO A UN NOME NEGATO

Denominazione: Colli Orientali del Friuli DOC
Vitigni: friulano 100%
Alcol: 14.5%
Temperatura di servizio: 10/12 °C
Tipologia: bianco
NOTE DI DEGUSTAZIONE
Giallo dorato intenso il colore. Al naso regala un bouquet olfattivo raffinato e complesso, composto da sentori floreali e fruttati, poi seguiti da toni agrumati di buccia d’arancia, da ricordi di mandorla e di crema pasticcera, e da sfumature minerali. Il sorso è rotondo e pieno, sapido e minerale, sorretto da una bella spalla acida e guidato da un bel tenore alcolico. Lunga la persistenza e gradevolmente amarognolo il retrogusto.

NO NAME Langhe Nebbiolo
Borgogno
ETICHETTA DI PROTESTA

Denominazione: Langhe DOC
Vitigni: nebbiolo
Alcol: 14.5%
Temperatura di servizio: 16/18 °C
Tipologia: rosso
NOTE DI DEGUSTAZIONE
Rosso rubino scuro con leggeri riflessi granato. Al naso esprime note speziate che si affiancano ad un profilo olfattivo caratterizzato da confettura, fiori secchi, sciroppo di lamponi, tamarindo. In bocca è equilibrato, elegante e fresco, bilanciato da un'ottima acidità ed una bellissima trama tannica. Chiude con un finale di ottima persistenza, sul frutto.

Racconta Andrea Scanzi: «Il No Name è il Barolo-non Barolo dell’azienda Giacomo Borgogno e figli. Si chiama così come "etichetta di protesta", per rimarcare l’eccessiva burocrazia della legge italiana. Nasce da vigneti di pregio, a Cannubi, Fossati e San Pietro delle Viole, sempre nel comune di Barolo. Non essendo registrato come Docg, è "solo" un Nebbiolo. Questo fa sì che il prezzo scenda considerevolmente. Non ha però molto da invidiare a un Barolo riuscito. E’ un Nebbiolo che affina tre anni "in botti più piccole". Non è tradizionale nel senso ortodosso e l’etichetta può essere anche letta come provocazione a fini commerciali: una maniera scaltra, e lecita, per creare la notizia. Oltretutto dietro questo vino c’è anche Oscar Farinetti, proprietario di Eataly, personaggio amato e odiato: i detrattori della bottiglia non mancheranno. Al netto delle implicazioni ideologiche, l’ho trovato un rosso piacevolissimo. Di bella morbidezza, coi tannini giusti, sufficientemente fresco e sapido. Bevibilità impeccabile. Non è paragonabile ai grandissimi Barolo, ma costa molto, molto, meno dei grandissimi Barolo. Piacevole sorpresa.»

Sino ad ora conoscevo solo la mia personalissima nanna di protesta...

www.levignedizamo.wine
www.borgogno.com

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“Elogio dell’invecchiamento” di Andrea Scanzi
3 maggio 2018

Devo confessare che a me Scanzi piace... Oliver invece non lo sopporta, quando lo vede prende a schiaffi la televisione...

Sul trimestrale «Porthos» ho trovato una massima espressa da un produttore langarolo - anonimo - che vinifica Barolo e Barbaresco, quindi imparziale. La trovo straordinaria. «Il Barbaresco è il vino delle migliori serate della tua vita, non ti tradirà mai; ma per l'ultima notte della tua esistenza, ci vuole un Barolo.»

Domanda: che me ne faccio di tutte queste nozioni? Niente, volendo. Si può benissimo sopravvivere lo stesso. Oppure si può provare a capire su cosa poggi la teoria più credibile riguardo all'abbinamento cibo vino. (...) ed è basata sul doppio binario della concordanza e della contrapposizione.
In linea di massima, quasi tutto è per contrapposizione: a una sensazione del cibo devo opporre una sensazione del vino, e viceversa. (...)
Come tutte le regole, anche quella della contrapposizione presuppone delle deroghe. Si chiamano concordanze (...)
(...) con un cibo dolce si beve vino dolce. Per questo, chiunque vi proponga uno Champagne secco a fine pasto, anche solo per brindare, compie forse un bel gesto ma certo uno scempio enogastronomico.
(...) di solito, il pesce vuole il bianco. È un dogma fastidioso e un po' ignorante, che amo smentire appena posso, ma è un fatto che con una sogliola faccio fatica a berci un Barolo (non è un gran problema: basta evitare di mangiare la sogliola). (...)
E sarebbe anche l'ora di finirla con la storia che gli affettati andrebbero mangiati soltanto con il rosso. È una scemenza, o, per meglio dire, un'abitudine radicata e appagante ma perfettibile: se volete corrompermi mi basta un Pelaverga, e convengo con voi che il salume è di per sé sapido e per questo abbisogna di un vino morbido (e di solito un rosso lo è più di un bianco), ma uno Chablis val bene un San Daniele. Così come una Doc Trento è il trionfo del lardo di Colonnata.
L'abbinamento per concordanza e contrapposizione dà coordinate utilissime. E spiega tante cose. Per esempio, perché il cioccolato mette così in difficoltà, al punto che tuttora i suoi esegeti si dividono in tre specie: quelli che lo mangiano con il vino dolce, quelli che gli preferiscono i superalcolici (rum, whisky) e quelli analcolici che rivendicano i poteri purificanti dell'acqua.
Il cioccolato, in effetti, è un gran casino. (...)
C'è anche chi, con il cioccolato, beve vino rosso secco: è uno dei pochi momenti in cui non capisco chi beve rosso (...)
(...) lo Champagne va con l'ostrica. Sì, ma chi lo dice? I francesi. Appunto (...) Lo Champagne spicca in acidità, effervescenza. Quindi va bene con cibi grassi e a tendenza dolce. È grassa un'ostrica? No. Ha tendenza dolce? No. Ha senso berci lo Champagne? No. Ameno che non vi offrano entrambi: in quel caso, valutati i costi dell'uno e dell'altra, il sacrificio si può fare.

C'è poi l'abbinamento per psicologia. È quello che preferisco. È quello che riconosce potere supremo all'ospite. (...)
Così, mentre sei lì che cucini, e il piatto cresce, ed è quasi finito, e tu hai raggiunto la certezza che - davvero - il vino perfetto per quel cibo è solo il Sauvignon erbaceo (ma sì, sborone per sborone, a dirla tutta pensavo a un Pouilly-Fumé della Loira, quello che nelle guide dicono avere sentori di pietra focaia), mentre sei lì che inevitabilmente godi, arrivano gli amici. Agli amici non hai detto cosa avresti cucinato, perché ami le sorprese. E gli amici, tutti, hanno comprato il loro vino.
Uno, l'esterofilo, sarà rimasto folgorato sulla via del Pinotage sudafricano. L'altro, il casalingo, avrà rubato il vino del contadino dagli scaffali del suocero (nooooo!). Il terzo, che ama la Toscana, ti avrà portato per la sesta volta in un mese il solito Chianti del supermercato. Il quarto, che la Toscana la odia, vi sparerà a sorpresa un Nero d'Avola che potrebbe essere lisergico come pure indigeribile.
La babele dei vini, la Waterloo delle regole. Si chiama abbinamento per psicologia, anche se io preferisco definirlo trionfo del caso. Dell'istinto. Della convivialità.
Serate che vanno giù come il migliore dei vini, così perfette da abbinarsi da sole.

Credo che il Brunello di Montalcino Biondi Santi Riserva 1983 lo aprirò il giorno in cui sarà tutto perfetto. Forse domani, forse mai. (...)
Credo. che invecchierò. Non credo bene come il Brunello di Biondi Santi. Non credo bene come Biondi Santi.
Credo che raccontare un vino sia raccontare il passato, comprendere il presente, scrutare (non senza sgomento) il futuro.
Credo che elogiare l'invecchiamento sia una buona rivoluzione.
Credo che il vino sia, come la musica, uno splendido cavatappi per le emozioni.
Credo, sempre di più, che nell'eterna lotta tra figli e padri, gli unici a vincere siano i nonni. A distanza. Con discrezione. Quasi immortali, certo indimenticabili.

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