foto di Elena Fiorio - Burano maggio 2009
Ricetta: pizzette di Halloween
31 ottobre 2020

Trick or Treat!

Pizzette di Halloween con ragnetti e fantasmini

640 gr. di pasta per la pizza
passata di pomodoro
10/12 olive nere denocciolate
2 fette di formaggio filante (tipo gouda)
8 grani di pepe nero
olio extravergine d’oliva
sale


Dividere l’impasto della pizza in otto parti, formare delle palline poi appoggiarle su un piano di legno cosparso di farina e lasciarle riposare coperte per circa mezz’ora.
Appiattire con le mani le palline di pasta formando dei dischi rotondi con dei bordi leggermente più spessi e adagiarli in una teglia ben oliata a lievitare ancora un’ora circa nel forno spento.
Condire ogni pizzetta con la passata di pomodoro e il sale, quindi infornare a 220° gradi per circa 15 minuti.
Preparare le decorazioni delle pizzette tagliando quattro fantasmini dalle due fette di formaggio e i pezzi che compongono i ragnetti dalle olive (due olive tagliate per il lungo per i corpi, quattro sommità per le teste e striscioline ricavate da mezze olive per le zampe).
Sfornare le pizzette leggermente dorate e lasciarle intiepidire. Decorarne quattro con i fantasmini di formaggio e i grani di pepe al posto degli occhi e quattro con i pezzi di oliva posizionati a formare quattro ragnetti con le loro otto zampette.
Infornare nuovamente per alcuni minuti sino a quando il formaggio è leggermente sciolto ma ancora bene in forma.
Servire le pizzette tiepide o fredde.


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Shanghai Tango
1 giugno 2018

Elvis-style e il gatto nero...


Gao Youjun, noto come Shanghai Tango, è un fumettista cinese che vive a Shanghai.
Le sue vignette, diffusissime in rete, sono tanto semplici quanto geniali. Fatte di pochi tratti, generalmente monocromatiche e senza testo, raccontano storie e svelano ironici inganni universalmente comprensibili a tutte le latitudini.

Gao, che ha fatto studi matematici, ha sviluppato un modo di pensare non convenzionale che ha avuto un notevole impatto sul suo stile artistico e afferma: "Disegnare le mie vignette è molto simile a lavorare su un problema di matematica. Provo una grande gioia nel sorprendere gli altri con un risultato inaspettato dopo un processo di ragionamento impeccabile".

tangogao.com
tango2010weibo.tumblr.com

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“I biscotti di Baudelaire” di Alice Babette Toklas
25 maggio 2018

Dopo il calendario altro giro con Canva...


Ricette e ricordi, profumi e sapori tra le eccentricità e la grande arte della Parigi tra le due guerre.

I libri di cucina mi sono sempre piaciuti, mi hanno sempre incuriosita. Quando ero una dilettante dei fornelli li leggevo tutti, anche quelli noiosi, dalla prima all'ultima pagina, come Gertrude Stein con i libri gialli.
Quando cominciammo a leggere Dashiell Hammett, Gertrude Stein osservò come, nei suoi libri, la vera novità consistesse nel fatto che di solito le vittime morivano prima dell'inizio della storia vera e propria. Innumerevoli delitti seguivano poi inevitabilmente il primo. Così succede anche in cucina. (...) Ecco perché cucinare non è un passatempo soltanto piacevole. (...)
Il solo modo di imparare a cucinare è cucinare, e per me, come per tanti altri, cucinare divenne all'improvviso, inaspettatamente, una sgradevole necessità durante la guerra e l'occupazione. Fu in condizioni di razionamento e scarsità di cibo che imparai non solo a cucinare seriamente ma anche a fare acquisti in circostanze difficili senza sprecare troppo tempo per entrambe le cose, dato che ce n'erano altre molto più importanti e più divertenti da fare. Fu allora, quindi, che cominciarono gli assassinii in cucina.
La prima vittima fu una bella carpa, portata ancora viva in cucina in un cestino coperto dal quale nulla poteva scappare. Il pescivendolo che me la vendette disse di non aver tempo di ammazzarla, toglierle le scaglie e pulirla, né mi volle dire con quale di queste tre orribili e necessarie incombenze fosse meglio cominciare. Non fu difficile capire quale fosse la più repellente. Quindi, avanti con l'assassinio e facciamola finita. (...) Mi venne subito in mente un bel coltello affilato, l'arma classica, perfetta. Detto fatto: con la mano sinistra avvolta in uno strofinaccio, perché poteva darsi che l'animale avesse denti affilati, afferrai la mascella inferiore della carpa, e col coltello stretto nella destra cercai attentamente la base della colonna vertebrale. Vibrai il colpo fatale senza esitare, poi lasciai andare il pesce e guardai. Orrore degli orrori. La carpa era morta, uccisa, assassinata, assassinio di primo, secondo e terzo grado. Mi lasciai andare, priva di forze, su una sedia, e con le mani ancora sporche afferrai una sigaretta, la accesi e aspettai che arrivasse la polizia ad arrestarmi. Dopo una seconda sigaretta mi tornò un po' di coraggio e mi mossi per preparare la povera signora Carpa per il suo ingresso in sala da pranzo. Grattai via le scaglie, tagliai le pinne, le aprii la pancia e la svuotai di un sacco di roba che preferii non guardare, la lavai accuratamente, la asciugai e la misi da parte mentre preparavo la

CARPA RIPIENA DI CASTAGNE

Per una carpa di circa 1 kg e mezzo, tritare una cipolla di media grandezza e soffriggerla lentamente in 3 cucchiai di burro. Aggiungere una fetta di pane spessa circa 5 cm imbevuta di vino bianco secco, strizzata e tagliata a cubetti, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 2 scalogni tritati, 1 spicchio d'aglio pestato, 1 cucchiaino di sale, un quarto di cucchiaino di pepe appena macinato, un quarto di cucchiaino di macis in polvere, lo stesso di alloro e di timo e 12 castagne bollite e sbucciate. Mescolare bene, lasciar freddare, aggiungere un uovo crudo, riempire la pancia e la testa del pesce con il composto, chiudere accuratamente con stecchini, legare la testa in modo che il ripieno non esca durante la cottura. Lasciar riposare per almeno un paio d'ore. Versare 2 tazze di vino bianco secco in una terrina, metterei il pesce, salare a piacere. Cuocere in forno per 20 minuti a 190 gradi. Ungere il pesce e coprirlo con uno spesso strato di pane grattugiato, cospargere con 3 cucchiai di burro fuso e cuocere per altri 20 minuti. Servire ben caldo con un contorno di pasta. Per 4 persone. La testa della carpa è enorme. È considerata un boccone prelibato da molti europei.

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“La segreta alchimia” di Gaetano Savatteri
1 settembre 2017

Dalla raccolta "Viaggiare in giallo" di Giménez-Bartlett, Malvaldi, Manzini, Recami, Robecchi, Savatteri

«Saverio, perché non ti fai un giro? Qui accanto c'è un bel negozio di pentole».
«Ragione hai, Peppe. Mi serve proprio una padella antiaderente».
«Ecco, bravo. Ci vediamo tra mezz'ora».
In testa gliela sbatterei una padella antiaderente. Tanto lo so come finisce: Peppe Piccionello da anni dice di voler comprare un televisore, fa un bel giro in un negozio, si informa su tutti gli ultimi modelli e poi non prende mai niente.
A me personalmente questo vizio non sembra nemmeno così grave, ce ne sono di più turpi, come mettersi in fila alle tre di notte per conquistare l'ultimo modello di iPhone. Il problema è che stavolta Peppe mi ha chiesto di accompagnarlo e non ho trovato una scusa già confezionata per dirgli di no. (...)
Una padella antiaderente costa ventotto euro e settanta centesimi. Sinceramente, mi sembra peccato sprecare tanti soldi per spaccarla sulla testa a Peppe, anche se la commessa - molto graziosa, seppure con unghie ricostruite e troppo sbrilluccicanti - mi spiega che ha il fondo in pietra ollare. Provo a immaginare il rumore della pietra ollare, che non so manco cos'è, inferta con la forza di circa quaranta chili espressa dal mio braccio a una velocità di circa diciannove chilometri all'ora sul cranio di Piccionello. Secondo me suonerebbe meglio quella classica di acciaio, ma la ragazza con le unghie Swarovski mi spiega che non ne fanno più, e me ne propone altre di pietra lavica, di ceramica smaltata
o a particelle di granitech. Non ci sono più le padelle di una volta, questa la dico anche se è una stronzata, ma la commessa ride e scopro che uno Swarovski le brilla pure sull'incisivo laterale destro superiore. Troppo perfino per me.
WhatsApp mi deposita, caldo caldo, un messaggio di Suleima.
«Ancora con le tv di Peppe?» chiede.
«L'ho lasciato che flirtava con un Samsung».
«E tu?»
«Vorrei la verità: meglio una padella in pietra ollare o lavica?».
Attendo. Suleima sta rimuginando, ormai lo capisco dal tempo che impiega a rispondere.
«Saverio, la verità. Com'è?»
«La padella?».
«Non fare lo scemo. La commessa del negozio di padelle».
«Normale».
«Stai attento. Vengo lì e vi prendo a padellate, prima a te e poi a quella».
Le spedisco una serie di cuori e di smile.

Sto diventando pazzo, lo so. L'ho letto su «Robinson», l'inserto di «Repubblica», che si comincia così, sentendo le voci; era successo pure ad Alda Merini.
«Allora, dobbiamo perdere l'aereo?»
Un'altra voce, è di Piccionello.
Mi volto e capisco che, oltre alle voci, soffro di allucinazioni.
Davanti a me c'è uno che assomiglia allo Zeb Macahan del telefilm Alla conquista del West.
Chiudo gli occhi. Appena li riaprirò non ci sarà più niente e sarò tornato in me, sarà stato solo un sogno a occhi aperti.
«Sei diventato più scimunito del solito?» mi chiede l'uomo mascherato.
«Peppe, come cazzo ti sei impupato?»
«Classico ma informale» e si gira su se stesso.
Riesco a diagnosticare un paio di stivaletti Camperos El Charro pitonati a punta stretta con tacco da quattro centimetri, jeans stonewashed, camicia di velluto blu a righine strette, giacca di renna con frange.
Cerco a tentoni una sedia, mi tremano le gambe. Già mi immagino per le strade di Praga accanto all'ultimo dei mohicani.
«Che ne dici? La classe non è acqua» fa Piccionello.
«Acqua».
«Appunto, non è acqua».
«Peppe, un bicchiere d'acqua, per piacere. Avverto un'improvvisa secchezza delle fauci».
Bevo. Guardo con attenzione l'urban outfit di Peppe. Era meglio in mutande e infradito. Ogni dettaglio in sé è spaventoso, ma l'insieme è terrificante.

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“La notte ritorna” di Mary Higgins Clark
16 maggio 2017

Al parco giochi della Quindicesima Strada a Manhattan, non lontano da casa, il dottor Greg Moran spingeva il suo bambino, Timmy, sull'altalena.
«Ultimi due minuti», annunciò ridendo e dando un'altra spinta abbastanza forte da far contento il piccolo monello di tre anni, ma non tanto forte da rischiare di farlo cadere. Era una scena a cui in passato aveva spesso assistito e quando metteva Timmy su una di quelle altalene era sempre estremamente prudente. Come medico del pronto soccorso era un esperto di incidenti.
Erano le sei e mezzo di sera e l'aria si era fatta un po' pungente, a ricordargli che il successivo weekend si celebrava il Labor Day. «Ancora un minuto», disse con fermezza. Prima di portare Timmy al parco giochi, Greg era stato in servizio per dodici ore in un pronto soccorso più caotico che mai. In una gara di macchine sulla Prima Avenue i giovani che si trovavano a bordo di due auto erano rimasti coinvolti in un terribile schianto. Miracolosamente nessuno aveva perso la vita, ma tre dei ragazzi avevano riportato ferite molto gravi.
Greg staccò le mani dall'altalena in modo che rallentasse fino a fermarsi. Se Timmy non aveva tentato inutilmente di protestare significava che era pronto a tornare a casa anche lui. In ogni caso in tutto il parco giochi c'erano solo loro due.
«Dottore!»
Quando si girò, Greg si trovò faccia a faccia con un uomo di statura media, muscoloso, il viso nascosto sotto una sciarpa. Gli puntava una pistola alla testa. Con una mossa istintiva, Greg si spostò di lato per allontanarsi il più possibile da Timmy. «Senti, il portafogli è in questa tasca», disse in un tono pacato. «Prendilo pure».
«Papà».
Timmy era spaventato. Ancora sul seggiolino dell'altalena, si era girato e aveva guardato lo sconosciuto negli occhi.
Nei suoi ultimi istanti di vita, Greg Moran, trentaquattro anni, medico apprezzato, marito e padre affettuoso, cercò di lanciarsi sul suo aggressore, ma non poté in alcun modo sottrarsi al colpo fatale che lo raggiunse con micidiale precisione al centro della fronte.
«PAPÀÀÀÀÀÀÀ!» strillò Timmy.
L'assassino corse verso la strada, poi si fermò e si voltò. «Timmy», gridò, «di' a tua madre che adesso tocca a lei. Poi sarà il tuo turno».
Margy Bless, un'anziana signora che stava tornando a casa dalla panetteria del quartiere dove lavorava part-time, udì il colpo di pistola e le minacce. Restò immobile per alcuni lunghi secondi come per capacitarsi della scena spaventosa di cui era stata testimone: l'uomo che scompariva correndo dietro l'angolo con la pistola ancora in pugno, il bambino che urlava sull'altalena, l'altro uomo accasciato al suolo.
Le tremavano così forte le mani che le ci vollero tre tentativi prima di riuscire a digitare il 911.
All'operatrice che rispose, Margy riuscì solo a balbettare: «Presto! Presto! Potrebbe tornare! Ha ucciso un uomo e poi ha minacciato il bambino!»
La voce le morì in gola mentre Timmy si metteva a gridare: «Occhi Blu ha ucciso il mio papà... Occhi Blu ha ucciso il mio papà!»

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Gatto casetta di cartone
28 aprile 2017

Nuova casetta per Oliver...


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Proverbi valtellinesi
5 agosto 2015

"Quand el gal el canta fö de ura, se l’è serén el se nigùla"
(Quando il gallo canta ad un’ora diversa dal solito, se è sereno si rannuvola)

"Quand el vén serén de nòt, l’è cume na végia che va al tròt"
(Quando si rasserena di notte, è come una vecchia che va al trotto, cioè dura poco)

"Cume gh’è miga galena senza bèch, ghè miga persona senza difètt"
(Come non c’è gallina senza becco, non c’è persona senza difetti)

"Tücc i més al végn la lüna, tücc i di me n’impara üna"
(Tutti i mesi viene la luna, tutti i giorni se ne impara una)

"Chi séguita a giügà en malura prést el va"
(Chi continua a giocare presto va in malora)

"Al fa de so tésta se sc’campa ciüsè"
(A fare di testa propria si vive di più)

"S’ha da crét metà de quel che se vètt e gnént de quel che se sént"
(Bisogna credere a metà di quello che si vede e nulla di quello che si sente)

"A diventà vècc la va a la pècc"
(Diventando vecchi, le cose vanno sempre peggio)

“L’è méi murì pién che campä schìsc”
(Meglio morire pieni che campare di stenti)

"Per cugnoser al merlu bisogna stac insem istaa e invern"
(Per conoscere il merlo bisogna starci insieme d’estate e d’inverno)

“Püsée se ràia, püsée se sbàia”
(Più si raglia, più si sbaglia)

"I pirèe i-a mai facc’ sü pum"
(I peri non hanno mai prodotto mele)

"Bon bec l'è mai lec"
(Un buon caprone non è mai schizzinoso)

"A fac del ben a l’asen se ciapa pesciadi in del cul"
(A fare del bene all’asino si prendono pedate nel sedere)

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