foto di Elena Fiorio - Burano maggio 2009
“Il sangue degli altri” di Antonio Pagliaro
12 aprile 2017

Alle tre e un quarto stava ancora pensando all'affare del casinò di Riga. La Casinò Paradise. Riga, Lettonia. Il morto era lettone. Il casinò doveva essere un affare di Cosa nostra, come poteva essere altrimenti? E quando c'è la mafia, spesso ci sono cadaveri.
Quel lettone - Viktors, così si chiamava - doveva essere una vittima di quell'affare. Più ci pensava, più era certo che fosse così.
Con un rombo che lo risvegliò, se davvero si era appisolato, passò una motocicletta a una velocità da gran premio. Lo Coco si sorprese a sperare di sentire un forte botto e un rumore di lamiere. Ma il rombo si allontanò veloce, e il motociclista sopravvisse alle sue maledizioni.
Finalmente prese sonno, ignaro del fatto che poche ore dopo Cascioferro lo avrebbe chiamato.

«Corrado, che dobbiamo risolvere la guerra di Cecenia qui? Chi sono io, Goldrake? Mi trasformo in un razzo missile con circuiti di mille valvole? Che fa? Ci mando i raggi laser, ci mando? ... Talè, finiscila. Ci pensano gli amici tuoi della jeep. Qui a Palermo siamo, e abbiamo i nostri problemi. Non posso stare dietro al tuo tenente, e a 'sto Kavalè. Dai, oggi c'è pure il playoff di serie C/I. Speriamo che magari stavolta il Trapani ce la fa.»
«Con chi gioca?»
«Con la Ternana, deve recuperare da 2 a 0.»
«Difficile.»
Cascioferro portò la mano destra sotto la scrivania per un gesto scaramantico. Poi aggiunse: «E stasera Giovanna fa pure la caponata, Anzi, vuoi avvicinare e mangi da me?»
«Nino, grazie, non stasera.»
«Non sai che ti perdi... è bellissima la caponata di Giovanna.»

In via delle Sedie Volanti, al numero 33, piano terzo, abitava Andrij Mazurenko, clandestino ucraino.
L'edificio, nel centro storico, era uno di quelli che stanno in piedi per miracolo, o forse perché in qualche modo sorretti da ingombranti impalcature di ferro e travi di legno orizzontali.
Accanto al grande portone in legno del palazzo dove abitava l'ucraino, la strada era sommersa di rifiuti di ogni genere, scorze di mellone, vecchi materassi sfondati, mozziconi di sigarette, kleenex e preservativi. C'era un odore forte, misto di urina, umidità e muffa.
Sul muro di pietra, dietro un ammasso di immondizia, campeggiava la minacciosa scritta: «CHIUNQUE PISCIA O LASCIA LA MUNNIZZA QUI CI DEVE VENIRE UNA MALATTIA SENZA RIMEDIO».
Due scheletri di Vespa erano abbandonati poco più avanti. Giorno dopo giorno, qualcuno ne sottraeva pezzi che in qualche modo dovevano essergli utili. Adesso degli scooter rimaneva ben poco, e quel poco aveva il colore marroncino della ruggine.
Sul citofono, sotto la scritta rossa «SUCA CHI LEGE», non trovarono il nome dell'ucraino. Miola provò a suonare a caso. Il primo a rispondere fu un uomo dall'accento africano. Il maresciallo disse: «Carabinieri, apra il portone.»
L'uomo riagganciò.
Con il secondo, Miola non ripeté l'errore. Disse in tono gentile che stava cercando un ucraino di nome Andrij.
«Telzo piano» si sentì rispondere.

Per visualizzare eventuali immagini legate a questo post cliccare qui.


Commenti
Categorie: lettura
Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

“Cadaveri innocenti” di Kathy Reichs
24 novembre 2012

Mi tornò alla mente Elisabeth Nicolet. La sua era stata una vita da reclusa. FEMME CONTEMPLATIVE recitava la targa. Ma ormai non contemplava più nulla da oltre un secolo. E se avevamo recuperato la bara sbagliata? Ecco un'altra cosa a cui non avevo voglia di pensare. Almeno per quella sera.

Apettando di udire la sua casella vocale farfugliai qualcosa di incomprensibile.
"Mamma? Sei tu?"
"Sì. Ciao, come mai sei a casa?"
"Ho un brufolo sul naso grande quanto un criceto. Sono troppo orrenda per uscire. E tu, che cosa ci fai a casa?"
"Mi sembra difficile che tu possa essere orrenda. Quanto al brufolo, no comment." Mi appoggiai a un cuscino e allungai i piedi verso il camino. "Ho passato due giorni a dissotterrare morti e sono troppo stanca per uscire."
"Non voglio sapere nulla." La sentii armeggiare con qualcosa.
"Questo coso fa davvero schifo."

Il mattino seguente mi alzai di buon'ora e andai in istituto. Il lunedì è una giornata molto piena per i patologi perchè durante il fine settimana gli atti di generica brutalità, le bravate incoscienti, i gesti di solitario autolesionismo e la fatale mancanza di tempismo subiscono una decisa e generale accelerazione. E i cadaveri arrivano in obitorio, dove aspettano nelle celle frigorifere l'autopsia del lunedì.
Quel lunedì non faceva eccezione.

In quel momento Birdie fece la sua comparsa, stirandosi una zampa anteriore, poi l'altra, e infine acquattandosi su tutt'e quattro in un rettangolo perfetto. Mi puntò gli occhi dritti in faccia ma non si avvicinò.
"Ehi Bird. Ti sono mancata?"
Nessuna reazione.
"Hai ragione, Pete. E' irritato."
Gettai la borsa sul divano e seguii il mio ex marito in cucina. Le sedie alle due estremità del tavolo erano occupate da pile e pile di posta, per lo più non aperta. Lo stesso poteva dirsi dei sedili sotto la finestra e dello scaffale in legno sotto il telefono. Non dissi nulla. Non era più un mio problema.
Trascorremmo una piacevole oretta mangiando spaghetti e parlando di Katy e di altre questioni familiari. Gli dissi che sua madre mi aveva chiamata lamentando di sentirsi trascurata. Pete rispose che avrebbe offerto a lei e a Birdie un pacchetto assistenza legale cumulativo. Gli consigliai di farsi sentire e lui disse che l'avrebbe fatto.
Alle otto e mezzo portai Birdie in auto e Pete mi seguì carico di tutto il suo corredo: il mio gatto è abituato e spostarsi con più bagaglio di me.
Mentre aprivo la portiera, appoggiò la mano sopra la mia.
"Sei sicura che non vuoi fermarti qui?"
Me la strinse e con l'altra mano mi accarezzò delicatamente i capelli.
Ero sicura? Il suo tocco era talmente gradevole, e cenare con lui mi era sembrato così normale, mi aveva fatta sentire così a mio agio. Qualcosa dentro di me cominciava a sciogliersi.
Rifletti, Brennan. Sei stanca. E arrapata. Meglio andare a casa.

"E adesso, che facciamo?" domandai.
"Bè, io non ho mai mangiato quella roba... hush puppy, si chiama così, vero?"
"Parlava delle indagini. Quanto alla cena, considerati libero. Io ho intenzione di rientrare in barca, farmi una doccia e prepararmi un delizionso piatto di maccheroni già pronti. Esattamente in quest'ordine."
"Gesù, Brennan, ma quella roba ha più conservanti del cadavere di Lenin."

"Ma che casa promette?"
"Hai centrato il punto. Non tutte le sette sono religiose. Si tende ad avere questa idea perchè negli anni Sessanta e Settanta qui da noi molti gruppi dichiaravano di avere fini religiosi per non pagare le tasse. Ma le sette sono entità di tutti i tipi e di tutte le dimensioni e promettono ogni genere di beneficio. Una gita nello spazio. L'immortalità."
"Continuo a non capire come sia possibile che qualcuno con più di un grammo di cervello possa credere a queste stronzate."
"Attenta. Non sono solo le persone marginali a rimanere invischiate nelle sette. Secondo alcuni studi, circa due terzi degli adepti venivano da famiglie normali e dimostravano di avere una condotta adeguata all'età prima di entrare in questi gruppi." (...)
"Per caso le tue ricerche dicono qualcosa di utile sul perchè le persone cercano questi movimenti?"
"Spesso non li cercano affatto. Sono i gruppi a cercare le persone. E come ho detto, i loro leader sanno essere terribilmente affascinanti e persuasivi." (...)
"Quante sette esistono negli Stati Uniti?" domandai a Red.
"Dipende dalla definizione che dai di una setta." Sorrise e allargò le braccia. "Diciamo fra le tre e le cinquemila."
"Stai scherzando?" (...)
"L'idea di far parte di un'élite è molto affascinante. Ci si sente scelti. E quasi tutte le sette convincono i loro membri che solo loro sono gli illuminati e tutti gli altri sono esclusi. Inferiori, in un certo senso. Vedi bene che siamo di fronte a roba potente."

"Bird?" lo chiamai sottovoce, sporgendo un braccio verso di lui.
Sollevò la testa e scrutò la mia faccia con gli occhi gialli. Scoccò un lampo. Birdie si alzò, inarcòla schiena e emise un: ""Prrrrr".
Voltai il palmo verso l'alto. "Forza , Birdie, vieni qua", sussurrai.
Lui esitò, poi venne vicino, si strusciò contro la mia coscia a ripetè il suo "Prrrrrrr".
Lo presi in braccio, lo strinsi forte e rientrai di corsa a casa.
Birdie aveva affondato le zampe anteriori nella mia spalla e si premeva contro di me come un cucciolo di scimmia contro la madre, facendomi sentire le unghiette attraverso la camicia zuppa di pioggia.
Dieci minuti dopo avevo finito di asciugarlo. I suoi peli bianchi fluttuavano nell'aria e coprivano gli stracci che avevo usato. Per una volta non c'erano state proteste.
Birdie trangugiò una scodella del suo cibo preferito e un piattino di gelato alla crema, poi lo portai di sopra, in camera da letto. S'infilò sotto le coperte e si allungò contro la mia gamba. Sentii il suo corpo teso che si rilassava e infine si accoccolava nella posizione più comoda. Il pelo era ancora umido ma non m'importava. Il mio gatto era ancora con me.
"Ti voglio bene. Birdie", dissi alla notte che mi circondava.
Mi addormentai cullata dal rumore delle fusa e dal ticchettio della pioggia.

Per visualizzare eventuali immagini legate a questo post cliccare qui.


Commenti
Categorie: lettura
Tags: , , , , , , , , , , , , , ,