foto di Elena Fiorio - Burano maggio 2009
Fish-eye
28 febbraio 2021

Giocando nel Boscoincittà con la nuova lente fish-eye da applicare all'iPhone...


Il fish-eye (occhio di pesce) è un obiettivo fotografico grandangolare estremo che abbraccia un angolo di campo non inferiore a 180° e a differenza degli obiettivi grandangolari a prospettiva rettilinea produce un'immagine distorta.
Le uniche linee che rimangono diritte nell'inquadratura sono la verticale e l'orizzontale che formano la croce centrale mentre tutte le altre tendono a curvarsi progressivamente in modo simmetrico verso gli estremi della foto, questa deformazione estremamente evidente caratterizza fortemente il fish-eye e costituisce la sua identità insieme all'ampiezza dell'angolo di campo.


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Rane mai viste
8 marzo 2019

CRA!


Yensen Tan (Tanto Yensen) è un fotografo naturalista indonesiano, che vive a Giacarta, specializzato nel ritrarre anfibi e rettili. Appassionato di animali, ha un vero talento nel riuscire a fotografare simpatiche e coloratissime rane cogliendole in situazioni particolari e momenti speciali di relazione con altri animali.

Il suo portfolio riesce sempre a stupire, affascinare e spesso a strappare un sorriso come con la rana che grazie a due lumache si trasforma in una sosia della Principessa Leila.



500px.com/tantoyensen
www.instagram.com/yensen_tan

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I ravioli psichedelici della “Lady Gaga della pasta”
28 febbraio 2019

Per questo giovedì grasso un bellissimo piatto di stelle filanti...


Linda Miller Nicholson, food blogger di Seattle, realizza vere e proprie sculture di pasta e i suoi numerosissimi follower attendono sempre con ansia le sue nuove creazioni.

Nata con il matterello in mano per tradizione familiare Linda, durante alcuni viaggi in Italia, ha carpito tutti i segreti della pasta per poi sbizzarrirsi, tornata negli Stati Uniti, nel produrre pasta artigianale artistica ispirata al mondo della moda che l'ha portata ad essere soprannominata la "Lady Gaga della pasta".

La sua specialità: pasta colorata, anzi coloratissima e formati sempre nuovi, ottenuti con acqua, farina, uova delle sue galline e colori rigorosamente naturali estratti da spezie, erbe, frutta e vegetali di ogni tipo.



saltyseattle.com
www.instagram.com/saltyseattle

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Creme di miele Dombi Mézmanufaktúra
15 gennaio 2019

Interessanti acquisti alimentari all'Artigiano in Fiera e una scoperta...


Crema di miele al chili habanero (miele e chili habanero)
Crema di miele per Natale (miele, miscela di spezie, arancia e rum)


La Fabbrica del miele Dombi propone miele naturale ungherese e altri prodotti dell'apicoltura che sono delizia per il corpo e per la mente. L'apiario Dombi si trova a Tápiószecső, sui morbidi pendii delle colline di Gödöllő ricchi di acacie e fiori, luogo ideale per la realizzazione artigianale di manufatti alimentari di nicchia.

Ma cos'è la crema di miele? Altro non è che miele montato, detto anche miele filato.
Per ottenerlo pare sia sufficiente prendere due parti uguali di miele liquido e miele solido cristallizzato e montarle insieme con delle fruste elettriche o una planetaria per circa venti minuti a velocità prima bassa poi media. Durante la lavorazione il colore del miele tende a schiarirsi e la consistenza a diventare soffice e cremosa, volendo l’operazione può essere ripetuta per due o tre volte per avere un miele più cremoso e stabile.
Una volta pronta la crema di miele non smonta più e può essere conservata in vasetti di vetro tenuti in dispensa fuori dal frigorifero.

Prima o poi provo! Per il momento mangio...


www.dombimezmanufaktura.hu
www.facebook.com/Dombi-Mézmanufaktúra

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Cappelli (di pelo di gatto) per gatti
10 gennaio 2019

Voglio un cilindro di pelo di gatto nero...


Il fotografo giapponese Ryo Yamazaki produce artigianalmente cappelli per i suoi tre gatti utilizzando il pelo da loro perso. I gatti si chiamano Mugi, Maru e Nya e ognuno ha il pelo di una diversa tonalità di colore. Risultato: gatti meravigliosi, cappelli meravigliosi, fotografie... meravigliose!



www.instagram.com/rojiman

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Rajkamal Aich
22 giugno 2018

Bella anche la serie "Food for thought"...


Rajkamal Aich è un illustratore (ma anche fotografo ed esperto in infografiche) indiano che vive e lavora a Nuova Delhi.

Il suo progetto "Condoms are beautiful", pensato per la giornata mondiale contro l’AIDS, consiste in una serie di illustrazioni dove i preservativi sono i simpatici e colorati protagonisti. Per un sesso sicuro e creativo!

www.rajkamalaich.com
www.instagram.com/the_legend_of_raj
www.flickr.com/photos/rajkamalaich

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Criniera per gatti
10 luglio 2017

Quando micio si sente il re della foresta...


Parrucca per gatti disponibile su Wish nei colori: nero, bianco, rosso, marrone e multicolore, regolabile da 26 a 30 centimetri.
Il sito assicura che è facile e comoda da indossare e che il pelosetto di casa riscuoterà molta ammirazione quando indosserà questa criniera perfetta per una festa di Halloween, Natale o Capodanno.
Sicuri di non essere sbranati durante la vestizione?

www.wish.com

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Gli animali nascosti nelle ciotole di Geraldine
5 marzo 2017

Una colazione piena di poesia...


Le chat, le loup et l’oiseau
è il kit di ciotole realizzato da Geraldine de Beco, giovane designer francese, per il prestigioso marchio di porcellane Bernardaud.

Queste eleganti ciotole, bianche all’esterno e smaltate a colori internamente, nascondono tra le misteriose forme ondulate dei piccoli segreti.
Solo riempiendole, quasi sino all'orlo, appariranno magicamente le sagome degli animali celate al loro interno.

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El fanfarniche e la granita in man
24 settembre 2016

Estratti dal libro "Chi xé mona, staga a casa!" di Espedita Grandesso sottotitolato: detti, insulti e prese in giro.

EL FANFARNICHE. Il dolce in oggetto ha più denominazioni, ma ricordo solo questa; consisteva in una treccia composta da zucchero di canna e melassa, lunga un dito e grossa, forse, un poco di più. Era un dolce durissimo, che noi bambini di allora consumavamo succhiandolo lentamente, fino ad avere le labbra e la lingua infiammate, per poi sgranocchiarlo, una volta che la massa si fosse ridotta, grazie ai nostri denti che facevano concorrenza a quelli dei molossi. (...) Questo dolce esiziale ha fatto parte della mia infanzia e di quella di tanti altri bambini: ci ha spinto a sgraffignare qualche lira per raggiungere la quota di dieci (tanto costava un pezzo di quella robaccia); ci ha spinto a mentire alle nostre "sante mamme" (erano definite così durante l'ora di catechismo) (...)
Sfuggendo all'occhiuta attenzione di mia madre che, apprensiva ma dotata di buon senso, a volte mi lasciava uscire con altre quattro o cinque bambine conosciute, ho potuto assistere alla "creazione del fanfarniche".
In campo Santa Margherita, nei giorni di mercato, arrivava un signore rivestito di un grembiule bianco pieno di macchie multicolori, col suo meraviglioso carretto, che si smontava e rimontava fino a fargli assumere la forma di un banco da vendita, con annessa vetrinetta contenente vari dolci, sempre rigorosamente a base di zucchero: croccanti, frutta caramellata, caramelle e mosche (quelle entravano nella vetrinetta "motu proprio" e il padrone faceva l'atto di cacciarle, ma poi si rassegnava, avendo altro da fare).
Dall'interno del carretto l'omino (era, infatti, un signore di bassa statura) estraeva un treppiedi di ferro e un calderone che poneva sul treppiedi e riempiva con un secchio d'acqua, sotto al treppiedi accendeva un fuoco vivo di legna aiutandosi, credo, con uno spruzzo d'alcol o di benzina. Quando all'interno della caldaia l'acqua bolliva, il "mago del fanfarniche" ci versava sopra della melassa e dello zucchero grezzo, poi afferrava un mestolo di legno e cominciava a girarlo e rigirarlo nella massa sempre più compatta e collosa. (...)
Quando la massa nel calderone aveva raggiunto la giusta consistenza e un colore bruciato e dorato, molto simile a quello dell'avventurina, il mago, armato di due pezzi di vecchia coperta, toglieva la caldaia dal fuoco, che spegneva con i piedi, calzati in zoccoli di legno pesante, e versava il contenuto sul ripiano di zinco del famoso carretto multiuso. A questo punto avveniva qualcosa d'impensabile: il mago afferrava destramente quella massa infuocata e la lanciava contro un gancio attaccato a un'asse verticale, annessa al suo trabiccolo, la stirava e la intrecciava, lanciandola e rilanciandola fino a farle assumere lo spessore voluto. Ogni tanto, per non scottarsi troppo o per rendere i palmi scivolosi, si sputava nelle mani e riprendeva con lena e rapidità la lavorazione della treccia di zucchero.
Quando la treccia aveva raggiunto il giusto spessore, la toglieva dal gancio, la posava sul ripiano di zinco e, prima che s'indurisse troppo, la tagliava con un coltellaccio da macellaio in tanti pezzetti, miracolosamente uguali, dopo di che posava i pezzi di fanfarniche su un vassoietto e li metteva nella vetrina, assieme all'altra mercanzia: un pezzo di quel dolce costava dieci lire, gli altri troppo di più. Il farfarniche aveva una parte notevole nella nostra vita spirituale di bambine cattoliche, perché era motivo non irrilevante delle nostre confessioni nel settore "bugie" e "peccati di gola".

LA GRANITA IN MAN. Altro motivo di contenzioso con le "sante mamme" (e nella maggior parte dei casi lo erano davvero, povere donne) era la granita in man, un peccato di gola estivo, non meno perseguito del fanfarniche.
La bancarella delle granite spuntava verso giugno su una fondamenta dietro a quella dove abitavo e rimaneva lì per tutta l'estate, almeno fino a settembre. La gestiva una signora né vecchia né giovane: una madre di famiglia, che aveva trovato il modo di arrotondare le entrate o di supplire alla disoccupazione del coniuge.
Anche in questo caso la bancarella era alquanto imponente, perché nelle pieghe riposte del suo ventre doveva starci una piccola ghiacciaia, una scorta di bottiglie d'aranciata, limonata e birra e chissà che altro. Un vetro divideva dagli avventori le bottiglie con gli sciroppi, i bicchieri e una serie di cucchiaini contenuti in un bussolotto di alluminio, mentre una piccola macchina azionata a mano serviva per grattare il ghiaccio: il tutto era sormontato da una tenda a righe, mentre la padrona, quando non c'erano clienti, leggeva Bolero o Grand Hotel su una sedia impagliata, portata da casa.
È probabile che il grosso delle entrate provenisse alla signora dalla vendita delle granite, che erano varie di prezzo e dimensioni: c'erano le granite da venti lire, riservate alle ragazze grandi, che se le facevano offrire dal "moroso", ed erano servite in lunghi bicchieri da bibita.
Quando avevamo ricevuto la paghetta o una mancia, anche noi bambine acquistavamo una granita da venti, ma non nel bicchiere grande, perché al posto della quantità di ghiaccio "da venti lire" chiedevamo tre diversi tipi di sciroppo fortemente colorato. Infatti, non consideravamo lo sciroppo per il suo sapore, bensì per il suo colore; la triade rosso-blu-giallo significava - più o meno - il mélange di sapori al lampone (o all'amarena), all'anice e alla banana: era una cosa indegna ma, poiché i colori ci sembravano belli e brillanti, mandavamo giù tutto senza battere ciglio. Sopravvissute alla guerra, le granatine di sapore vomitevole non ci facevano nessun effetto.
Le dieci lire davano diritto alla quantità di ghiaccio tritato contenuta in un bicchiere da vino e a due soli colori: la padrona, su questo punto, era irremovibile perché, se avesse ceduto a sganciare un solo pelino di un terzo colore a una bambina, tutte le altre l'avrebbero tormentata per il rimanente della sua vita.
Bicchieri e cucchiai usati venivano messi dentro una mastelletta di zinco con acqua e varechina e posti a sciacquarsi dentro un altro contenitore smaltato, direttamente sotto il getto della fontana pubblica poco distante. Ma c'era di peggio; visto che spesso non avevamo neppure le dieci lire, ma solo cinque, la fantasiosa signora, un po' per pietà, un po' per rapinarci anche quelle, si era inventata un nuovo sistema di servire la granita: riempiva un bicchiere piccolo di ghiaccio nel quale versava un solo sciroppo (le cinque lire, infatti, davano diritto a un solo colore) e poi ci sformava la granatina direttamente in mano.
Ecco: quella da cinque lire era la famosa granita in man, tanto vanamente perseguita dalle mamme, giustamente preoccupate che non ci prendessimo il colera, ma non tanto avvedute - o possidenti - da rifilarci qualcosa di più di quelle misere cinque lire. (...)
Succedeva così che, depositate le nostre cinque lire sul banco, occupavamo un po' di tempo a saltare come capre per non sbrodolare sul grembiulino la granita che si scioglieva, passando in fretta il ghiaccio sciroppato da una mano all'altra, succhiando disperatamente perché quelle preziose cinque lire non finissero per terra in tante goccioline d'acqua colorata; dopo, andavamo in fila indiana (mica tanto, ci rifilavamo certi spintoni per arrivare prime) alla fontana pubblica, per lavarci le mani e il muso impiastricciati di sciroppo, asciugandoci le mani sul lembo del grembiule di tela.
Anche la granita in man, per quanto ricordo, al sabato diventava oggetto di confessione, come lo era stato, nelle altre stagioni, il famigerato fanfarniche.

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Le Regionali Moretti
27 giugno 2016

Manca solo la pugliese da assaggiare... ma è già del frigorifero...

Pugliese: birra chiara con selezioni di fico d'india e grano arso pugliesi
Lucana: birra chiara con selezioni di alloro e malto d'orzo lucani
Friulana: birra chiara con selezioni di mela renetta friulana
Siciliana: birra chiara con selezioni di fiori di zagara siciliana
Piemontese: birra chiara con selezioni di mirtillo e riso piemontesi
Toscana: birra chiara con selezioni di pregiato orzo e farro toscani



www.birramoretti.it

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