foto di Elena Fiorio - Burano maggio 2009
“Il testimone” di Francesco Recami
14 agosto 2017

Dalla raccolta "Viaggiare in giallo" di Giménez-Bartlett, Malvaldi, Manzini, Recami, Robecchi, Savatteri

Andarono a giocare al parco giochi, un giardinetto spelacchiato. Raul pisciava lontanissimo e sapeva fare dei rutti lunghissimi, dopo essersi riempito di coca-cola. Coca-cola? Per Enrico si trattava di una sostanza proibitissima, la mamma non gliela aveva mai fatta neanche vedere da lontano e lui era certo che a berla si andava all'inferno o anche peggio. E a quel bambino permettevano di bersene un bottiglione! Enrico era sbalordito. Quello beveva a bottiglia, senza fermarsi mai. Ma com'è che non moriva sul colpo?
Ma invece di morire quello faceva dei rutti spaziali e ruttando diceva «Alabuenadedios» o qualcosa del genere.
«Me la fai assaggiare?» riuscl a chiedere intimorito l'Enrico, controllando che la mamma non stesse guardando da quella parte.
Raul gli offrì il boccione, continuando a fare rutti smisurati.
Enrico sollevò il bottiglione e dette alcune piccole sorsate, e in breve fu l'estasi.
La coca-cola era una bibita meravigliosa, che ti riempiva la bocca e il naso di un gas dai poteri mega e ti faceva sentire benissimo. Enrico ne dette altre sorsate, sempre più consistenti. E poi l'effetto magico, il rutto. Anche Enrico proruppe in un colossale, se proporzionato al suo fisico mingherlino, rutto, che uscì mezzo dalla bocca e mezzo dal naso. Era questa la droga?
I grandi ti proibiscono sempre le cose migliori.
Insomma Enrico si ambientò e trascorse due giorni di sano divertimento coi suoi amici, passando il tempo a fare la pipì nella piscina e a tirarsi le borse di plastica piene d'acqua. L'unico timore di Enrico era che la mamma venisse a scoprire che lui aveva bevuto (e continuava a bere!) coca-cola. Lo avrebbe messo in prigione?

Partirono con la Doblò a fare un giro. Prima andarono alla Punta delle Oche, dove le oche non c'erano. Poi arrivarono al faro di Capo Sandalo, dove di sandali non ce n'era neanche uno spaiato, poi alle saline dove il sale non c'era, invece c'erano tanti uccelli col becco a punta. Infine raggiunsero le tonnare, e la signora Grazia spiegò che le tonnare lì non c'erano più. Insomma, in quel posto i nomi li davano a caso. Però erano tutti bellissimi e fantastici, Enrico avrebbe desiderato una macchina da presa per girare dei filmini, così si risparmiava la fatica di fare i disegni.
La tonnara fu il posto che lo magnetizzò di più, anche perché il nonno gli spiegò, in modo un po' semplicistico, come facevano a catturare i tonni. Li facevano entrare in certi canali, li imprigionavano lì e poi li prendevano a mazzate. Il mare si tingeva di rosso, per via di tutto il sangue. Enrico ne rimase molto impressionato.
Sulla punta c'era una piazzola panoramica da dove si vedeva un'isoletta minuscola e spoglia. «Quella si chiama Isola Piana» ed era effettivamente piana, non c'era una collinetta a pagarla oro. Meno male, pensò Enrico.

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“La casa di ringhiera” di Francesco Recami
2 gennaio 2017

Fu un pomeriggio da dimenticare anche per la figlia di Consonni. Dopo aver avuto un colloquio con le maestre di Enrico, Caterina era abbastanza sottosopra. Le avevano detto che Enrico aveva fatto dei disegni strani, in classe. In particolare aveva raffigurato, pur con i mezzi tecnici e grafici di cui era a disposizione, una persona tutta nuda a cui avevano tagliato il membro maschile. Le maestre si erano allertate per questo e avevano anche rapidamente consultato la psicologa della scuola, che per ovvio protagonismo aveva dato all'episodio un rilievo che forse di per sé non si sarebbe meritato. Comunque, giustamente, le insegnanti avevano segnalato a Caterina i fatti, avvertendola di mantenere la massima sorveglianza sul bambino, sui film che gli lasciavano vedere, sempre che non vi fossero significati psicologici più profondi, sui quali forse sarebbe valsa la pena indagare.
Altro che film, pensò immediatamente Caterina, questo è quel cretino di mio padre. Chissà che cosa ha fatto vedere all'Enrico, o che cosa gli ha raccontato! Lui e il caso della Sfinge di Lentate sul Seveso!

Caterina aveva molta fretta, era già in ritardo per un appuntamento con dei clienti che dovevano vedere un appartamento a Desio, e alle ore 17.07 chiamò suo padre al telefono, per dirgli che il bambino lo lasciava fuori del portone, che venisse a prenderlo.
Però Amedeo non rispondeva, che cavolo starà facendo..., quindi Caterina abbandonò Enrico nell'androne, intimandogli di andare da solo fino all'appartamento del nonno, tanto dov'era lo sapeva benissimo. La madre si assicurò che Enrico fosse sulla strada giusta, lo vide prendere le scale e se ne partì di gran fretta, era già in ritardo di venti minuti.
Enrico arrivò alla porta dell'appartamento 8 senza difficoltà, Era socchiusa, ed entrò: «Nonno...» chiamava. «Nonno ... dove sei?». In casa non c'era nessuno. Enrico vide che sul tavolo da pranzo c'erano i soliti ritagli di giornale, quelli che il nonno non gli faceva guardare, ma che lui ogni tanto, quando l'Amedeo andava in bagno, riusciva a sbirciare. Nulla di nuovo, che non avesse già visto. Si mise a giochicchiare con la colla e le forbici, ma senza il nonno che tentava di impedirglielo si annoiò subito. Allora prese il pennarello grosso e vergò qualche vettore a caso sulle fotocopie del nonno. Neanche da questo lavoro ottenne particolare soddisfazione.
Così Enrico uscì dall'appartamento, per vedere se il nonno fosse in giro, da qualche parte.
Nemmeno la porta dell'abitazione accanto era chiusa per bene, era semiaperta. Enrico la fissò, poi, come fanno i bambini, non ebbe esitazioni ed entrò dentro.
C'era abbastanza buio in quella stanza piccola, ma a un certo punto Enrico vide un signore, tutto sudato, che stava infilando dentro un grosso sacco della spazzatura di colore scuro una signora che non portava né i pantaloni né le mutande. Chissà che cosa sarebbe successo se Enrico avesse raffigurato con un bel disegno la scena che si trovava davanti in quel momento, e che cosa avrebbero pensato le sue insegnanti. Di fatto appena Enrico fu dentro la stanza Antonio si bloccò e per una decina di secondi rimase fermo immobile, con il sacco mezzo pieno in mano. Finalmente domandò: «E tu chi cazzo sei?».
«Io sono Enrico, ha mica visto il mio nonno?».

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